La mostra Unveiling the Unknown si propone di esplorare il confine tra ciò che conosciamo e ciò che sfugge alla nostra comprensione immediata, dissolvendolo progressivamente. Le opere di Lou Jaworski e Théo Viardin ci invitano a vivere un’esperienza visiva e sensoriale che, oltre a stimolare la nostra vista, coinvolge anche il tatto, guidandoci lungo un cammino che svela dimensioni sconosciute, realtà alternative e prospettive mai esplorate prima.

L’essere umano è costantemente chiamato a subire trasformazioni profonde, che lo conducono a integrarsi con ambienti sempre più complessi e inimmaginabili, mutando la propria pelle per fondersi con un mondo che diventa sempre più ibrido. Questo processo segna un momento cruciale nell’evoluzione della specie, un passaggio in cui l’individuo è costretto, per ragioni di permanenza, a rinnovare la propria relazione con l’esistenza. Una relazione, questa, che si reinventa e si adatta incessantemente, attribuendo nuovi significati alle cose, nel tentativo di preservarne l’essenza originaria.

L’idea di unveiling, che caratterizza la mostra, evoca il concetto allegorico del mito della caverna di Platone, in cui prigionieri incatenati vedono solo ombre proiettate su una parete, credendo che quelle ombre siano la realtà. La mostra rintraccia questa rappresentazione nel momento preciso in cui i prigionieri escono dalla caverna e vedono, per la prima volta, la realtà autentica. Similmente, le opere di Jaworski e Viardin ci invitano a liberare il nostro sguardo, a trascendere le apparenze e a entrare in contatto con ciò che è, a prima vista, invisibile, misterioso o nascosto.

In questo contesto, assunto come certo che tra percezione ed estensione non esiste alcun rapporto di subordinazione – una condizione ineluttabile, ab origine – possiamo affermare che solo attraverso un soggetto incarnato si può cogliere la vibrazione del mondo, al di là della sua dimensione intellettuale, in un equilibrio paritetico tra trascendenza e immanenza.

Questa esortazione ad esplorare nuove dimensioni della realtà trova un parallelo nelle riflessioni di Maurice Merleau-Ponty sulla percezione corporea. Merleau-Ponty ha esplorato come la percezione non sia solo un atto mentale, ma anche fisiologico, e come la nostra esperienza del mondo sia mediata dal corpo stesso. In quest’ottica, le opere dei due artisti sembrano invitarci a riscoprire la percezione del mondo attraverso il corpo, per l’appunto, esplorando le innumerevoli sensazioni che lo abitano, per accedere a significati che vanno oltre una mera, talvolta bieca, osservazione razionale.

Lou Jaworski, con la sua straordinaria abilità di manipolare materiali e forme, infrangendo le leggi storicamente immutabili della statuaria, crea scenari sensoriali che mettono in discussione le certezze della realtà tangibile e stimolano una riflessione profonda sulla percezione visiva. Le sue opere, di chiara matrice post- minimalista, invitano non solo a osservare, ma anche a toccare oltre la superficie, rivelando strati di significato nascosti e aprendo porte su universi sconosciuti. Con un approccio intimo ed evocativo, l’artista esplora il confine tra il mondo fisico e quello surreale, facendo emergere l’inconscio collettivo e svelando il “noumeno”, l’essenza di una realtà che, come Kant ci ha insegnato, sfugge alla nostra comprensione diretta. L’uso di materiali significativi, come marmo, magneti in ferrite, grafite e meteoriti, conferisce alle sue opere una qualità universale e senza tempo, mentre l’integrazione di hardware da server rack, come struttura architettonica avveniristica, contribuisce all’esplorazione del concetto di memoria materiale e di conservazione. Le sue creazioni scultoree monumentali, irreali ed evocative, amplificano le proprietà dei materiali, fungendo euritmicamente da catalizzatori di pensiero ed energia. Il suo contributo, in occasione della mostra Unveiling the Unknown, si manifesta in diverse direzioni: da un intervento site-specific che, pervadendo le pareti della galleria, consiste in un murale astratto realizzato con polvere di meteorite, le cui tonalità richiamano quelle dell’argento, alla scultura monolitica Gemini, la cui forma è generata dalle proprietà magnetiche del materiale stesso. La struttura, per la sua forma verticale, evoca l’immagine di una persona non stabile e fissa, ma effimera, poiché continuamente sottoposta a cambiamento. Le frecce bianche che la contraddistinguono, disegnate sui magneti di ferrite durante la produzione, indicano la direzione del magnetismo. Inoltre, ci sono due sculture da parete, YYYY ed EQUALITY, che simboleggiano rispettivamente: la prima, l’astrazione di un simbolo utilizzato generalmente come segnaposto per inserire la data dell’anno nel mondo digitale, e che, per di più, rappresenta tutti gli anni, il calendario, i cicli naturali, l’alternanza delle stagioni e, più in generale, il cosmo; la seconda scultura, invece, riproduce il simbolo “=” che tutti conosciamo, poiché viene comunemente utilizzato in matematica e geometria, ma anche per esprimere il concetto di equilibrio, di pari opportunità, o, più semplicemente, di uguaglianza.

Theo Viardin, dal canto suo, sfida la percezione visiva e concettuale, invitando lo spettatore a oltrepassare le apparenze per scoprire verità nascoste nell’indolenza dell’ordinario. Le sue opere pittoriche, ricche di tensione e suggestione, rivelano la bellezza nelle imperfezioni e nelle transizioni, esplorando la condizione umana attraverso un linguaggio viscerale e sfuggente. Con forme fluide e colori che oscillano tra tonalità metalliche e livide, sanguigne e incandescenti, l’artista esplora la connessione tra l’umano, la creatura e il creatore, dando vita a una nuova mitologia che indaga i misteri esistenziali più profondi e sconosciuti. Le sue immagini enigmatiche ed evocative suscitano riflessioni sull’alterità e sulla vulnerabilità, dissolvendo i confini tra visibile e invisibile e invitando a una percezione più empatica, corporale e immediata della realtà. Le figure imponenti, che sembrano vegliare dolcemente l’una sull’altra, sono realizzate con un uso stratificato della pittura a olio, alternando pennellate gestuali a velature eteree. Inoltre, il lavoro di Viardin, nato da un costante e profondo dialogo con la filosofia, esplora la condizione umana e le sue possibili evoluzioni, utilizzando l’approccio biopunk, particolarmente nichilistico, come strumento per riflettere sulla fine dell’umanità così come la conosciamo.

Alla luce di tutto ciò, possiamo affermare con certezza che Unveiling the Unknown non è semplicemente una mostra, ma un invito a guardarsi intorno per esplorare l’ignoto, sia dentro che fuori di noi. È un’opportunità per immergersi in uno spazio di riflessione, mistero e rivelazione. Il dialogo tra le sensibilità artistiche, dissimili ma complementari, di Jaworski e Viardin stimola una curiosità multisensoriale, arricchendo la nostra comprensione della realtà e sfidando la paura che troppo spesso aleggia su ciò che è sconosciuto. Così, nella stessa misura in cui Merleau-Ponty, nel tentativo di definire la struttura auto-affettiva del puro sentirsi, afferma che Toccare è toccarsi. La carne, il mio corpo è il perno del mondo che vi si prolunga, anche questa mostra ci ricorda che l’arte non è solo visione, ma un’esperienza fisica e sensoriale a tutto tondo, capace di connetterci profondamente con il mondo che ci circonda, idealmente nella sua accezione più pura e autentica. Unveiling the Unknown ci invita, dunque, a trascendere il semplice sguardo, per toccare, sentire e vivere ogni esperienza, abbracciandone il significato più autentico e profondo, mentre ci conduce alla scoperta dell’ignoto e delle forze antitetiche di attrazione che lo caratterizzano, un gorgoglio incandescente che pulsa dietro la superficie della realtà.

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