L’ANALISI DEL CONSIGLIERE NAZIONALE MARCO PEPE. DAI RINNOVI CONTRATTUALI ALLA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI: LA DELEGA AL GOVERNO IN 7 PUNTI

«In merito al salario minimo, ora meglio definito come “equa retribuzione”, va evidenziato l’ottimo lavoro fatto dal Cnel il quale ha sottolineato come la struttura della retribuzione in Italia non è pensata in funzione di una “tariffa oraria” diversamente da altri Paesi europei, ma da diversi valori che hanno lo scopo di valorizzare la produttività, la flessibilità organizzativa, del welfare contrattuale e della bilateralità. Non ho assistito ad alcun dibattito politico in questi mesi su questo specifico tema che da solo metterebbe fine ad un asfissiante bisogno politico delle opposizioni di unire il delicato tema del salario minimo con la dignità del lavoratore e la povertà in genere; scrivendo pagine infinite dipingendo questo Paese come sfruttatore dei più deboli, ora peggiorato grazie al governo delle destre, e mai affrontando nel merito l’equa retribuzione tenendo conto che oltre 40 anni di relazioni sindacali hanno costruito un modello retributivo invidiabile rispetto agli altri Paesi europei. Eppure, sono state soprattutto le grandi centrali sindacali a costruire questo modello, Cgil in primis».

Lo scrive il consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Pepe, in un documento pubblicato sul sito dell’associazione nel quale analizza la delega approvata dal governo per la riforma dei salari. «Bisogna essere meno corporativisti e fare un mea culpa sincero sulla natura giuridica delle Cooperative e verificare se realmente i soci-lavoratori sono trattati come tali o più semplicemente solo lavoratori spesso senza alcuna garanzia. Forse non tutte, ma molte cooperative hanno contribuito e contribuiscono a falsare il mercato del lavoro. Se esistono i contratti cosiddetti pirata è perché vi è stata una domanda dal mercato del lavoro. Rispondere a queste domande però, necessita avere a cuore gli interessi del Paese, dell’Italia e degli Italiani che guarda caso sono anche lavoratori. Bisognerà tener conto di questa caratteristica tipica italiana e ben conosciuta dalle organizzazioni sindacali nel momento in cui bisognerà trovare strumenti condivisi da inserire nel prossimo Decreto Legislativo quando bisognerà procedere alla riforma del sistema cooperativo e sulla verifica dell’effettiva natura mutualistica prevista nell’emendamento.  Infine, e non ultimo in senso di importanza, vi è il tema, sempre previsto nell’emendamento sui modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa che dovrà poi svilupparsi in un decreto legislativo. Vi è un forte rischio di creare un ulteriore confusione nei lavoratori e, si sa, quando la confusione si fa strada il più furbo ne approfitta. In fondo il welfare aziendale è una macchina già sperimentata ed è molto efficace. Perché, mi chiedo, dire ai lavoratori di partecipare con una loro quota al rischio d’impresa, nominarli nei consigli di amministrazione creando inevitabili attriti tra lavoratori. Ci dovremmo chiedere dove inizia e termina la proprietà privata e perché imprese europee ed extraeuropee dovrebbero investire in Italia sapendo che potrebbero ritrovarsi lavoratori – forse non preparati – nei consigli di amministrazione. Forse l’idea di partecipazione dei lavoratori non agli utili dell’impresa, ma alla vita sociale dell’azienda potrebbe essere più efficace nello spirito della prosperità dell’impresa. Ovvero partecipare non solo alle decisioni strategiche dell’azienda ma anche alle problematiche sociali della vita aziendale».

DAI RINNOVI CONTRATTUALI ALLA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI, LA DELEGA AL GOVERNO IN 7 PUNTI

Il 18 novembre la commissione Lavoro della Camera, con il voto della sola maggioranza, ha approvato il testo del centrodestra che sopprime la proposta di legge sul salario minimo, presentata dalle opposizioni, trasformandolo in una legge delega al governo da esercitare entro sei mesi. L’emendamento, approvato dalla maggioranza, trasforma la proposta di legge presentata dalle opposizioni in una delega, da esercitare entro sei mesi, con uno o più decreti legislativi su proposte del ministro del Lavoro di concerto con il ministro dell’Economia per intervenire sulla materia della retribuzione dei lavoratori e della contrattazione collettiva tenendo conto del rispetto dei vincoli di finanza pubblica e delle disposizioni comunitarie. Ecco i punti principali della delega analizzati dal consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Pepe.

  1. Nel dettaglio i diversi decreti legislativi dovranno affrontare temi come quello di assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi. Contrastare il lavoro sottopagato identificando specifici modelli organizzativi del lavoro e individuandone le relative categorie di lavoratori.
  2. Approvare un metodo condiviso dalle parti sociali per stimolare il rinnovo dei contratti collettivi nazionali scaduti.
  3. Estendere il trattamento economico equo anche a quei lavoratori che non sono coperti da contrattazione collettiva basandosi su contratti nazionali affini alla categoria di lavoro presa in esame.
  4. Favorire la contrattazione di secondo livello che abbia una finalità adattativa nel senso di tener conto delle differenze dei costi su base territoriale.
  5. Individuare gli elementi utili per contrastare il dumping contrattuale riducendo la proliferazione di contratti collettivi cosiddetti “pirata” che creano concorrenza sleale a danno di imprese e lavoratori. Il dumping contrattuale, in Italia, è un fenomeno diffuso soprattutto nell’area del terziario – includendo anche la vigilanza privata e pubblici esercizi – investendo principalmente quei settori dove le “pressioni” competitive sul costo del lavoro a seguito di appalti o più semplicemente di competizione economica contraddistinguono le attività cosiddette di labour intensive.
  6. Riforma della vigilanza del sistema cooperativo, revisionando e verificando l’effettiva natura mutualistica della cooperativa. Altro importante tema su cui Unimpresa si è soffermata più volte.
  7. Infine, l’emendamento che delega ai Ministeri competenti di organizzare modelli di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili di impresa che siano fondati sull’effettivo interesse dei lavoratori e dell’imprenditore alla prosperità dell’impresa stessa.

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