Bisogna alzare lo sguardo verso il cielo e guardare oltre i tetti di alcuni palazzi romani per scorgere e riconoscere le sirene d’allarme antiaereo. Sono lì da prima della seconda guerra mondiale, dove erano state collate, quasi cento anni fa, e oggi non sono che cimeli storici, antichi monumenti sonori, memoria di un tempo per fortuna lontano, ancora a guardia del cielo, ma senza più il loro cupo suono, ormai consegnato alla storia. Ce ne sono ben visibili sul palazzo comunale di via Bocca della Verità, sul palazzo del Ministero della Giustizia in via Arenula, su quello dell’Istruzione a via Dandolo o su Palazzo Brancaccio.
Secondo lo studio del giornalista Lorenzo Grassi, che sul tema ha pubblicato un volume ricco di preziosi documenti e aneddoti, e ideato anche una App che le censisce tutte (“SireneRoma”), a Roma ne sono rimaste 26 su un totale complessivo di 54. Quasi tutte elettromagnetiche da 500 watt acustici, 8 elettromagnetiche da 1.500 watt e 9 elettromeccaniche, che erano collegate e comandate da due centrali di comando: una nei sotterranei del Ministero dell’Interno e l’altra nel ricovero della Prefettura a Palazzo Valentini. Oggi sono tutte proprietà del Ministero dell’Interno.
La prima rete di sirene a Roma risalirebbe a metà degli anni Trenta, quando si cominciarono a installare i primi impianti sui punti più alti della città. Be prima, invece, durante il primo conflitto mondiale, il sistema di allarme antiaereo a Roma era affidato a colpi di cannone (da Castel Sant’Angelo), a trombe, cornette e campane. L’avviso di cessato pericolo veniva dato con un suono “a distesa” dalla campana del Campidoglio, a cui si univano poi tutte le campane delle chiese in una staffetta sonora.
In seguito, dal secondo conflitto mondiale, le campane divennero parti di un sistema di allarme “sussidiario”, perché la tecnologia nel frattempo si era evoluta e si era passati alle sirene elettromagnetiche e a quelle elettromeccaniche. L’autarchia di guerra, inoltre, aveva imposto nel 1942 la raccolta di tutte le campane degli edifici di culto perché ricche del prezioso metallo utile alle fabbricazioni di armi. Anche se, solo qualche mese dopo la circolare dell’aprile del 1942 che ne stabiliva “il ritiro”, ad agosto, il Ministero dell’Interno si accorse che almeno quelle adibite a sistema di allarme dovevano essere mantenute dov’erano. Fu così che si salvarono dallo smantellamento molte campane delle chiese, nonostante fosse chiaro che si andava ormai verso un sistema di allarme a sirene, che infatti venne rafforzato proprio tra il 1940 e il 1942, soprattutto nelle aree periferiche della città, in seguito all’entrata in guerra dell’Italia. Il potenziamento venne deciso dal Comitato Provinciale di Protezione Antiaerea con l’intervento della Regia Prefettura, anche in seguito a un test di prova che si fece domenica 9 giugno 1940, alle ore 10 del mattino, nel giorno che precedette la dichiarazione di guerra. Una prova che dimostrò tutta la debolezza del sistema, che non riusciva a raggiungere molte parti della città.
Con il regio Decreto 410 del maggio 1941 l’organizzazione e il funzionamento dei sistemi di protezione antiaerea erano stati trasferiti al ministero dell’Interno (dal ministero della Guerra), era nata la Direzione Generale per i Servizi di Protezione Antiaerea: tutto ciò diede un impulso al potenziamento della rete esistente. Nel 1942 l’impianto di allarme di Roma era definitivamente potenziato, proprio pochi mesi prima delle bombe che caddero sul quartiere San Lorenzo il 19 luglio del1943.
Sia in quello di luglio, sia nel secondo raid aereo su Roma del 13 agosto 1943 le sirene non funzionarono al meglio, spesso il segnale arrivò in forte ritardo e molte risultarono fuori uso. Verso il risuonare delle sirene di allarme, nei vari test di prova, i romani si erano dimostrati sempre scettici, costretti ma mai convinti del tutto a scendere nei rifugi. Il suono delle sirene, che quel 19 luglio precedette di pochissimo (appena un minuto) l’arrivo delle bombe, risvegliò l’atavica incredulità dei romani e li mise di fronte alla dura realtà: anche Roma era divenuta bersaglio di bombardamenti. Fino ad allora era stato tutto un convincersi con affermazioni che rassicuravano sull’inviolabilità della Capitale: “L’Urbe è città santa, non può essere attaccata dal cielo”, “Roma è patrimonio dell’umanità”, “A Roma c’è il Papa, anche gli Alleati lo sanno”. Tutte certezze che si sgretolarono in un attimo, insieme ai palazzi di San Lorenzo ridotti in polvere.
Da allora le sirene suonarono e risuonarono più volte, ma dopo l’8 settembre del 1943 le autorità tedesche, durante l’occupazione di Roma, decisero di disattivarle per rendere più credibile la dichiarazione unilaterale di “Città aperta”. Avevano deciso di farle risuonare solo una volta al giorno, alle ore 10 per prova, ma era un suono che faceva paura ai cittadini. Furono i duri bombardamenti del gennaio del 1944 sul Quadraro, a piazza Bologna e a Porta Maggiore a far riattivare in tutta fretta il sistema delle sirene antiaeree che tornarono a funzionare il 24 gennaio di quell’anno, ma in modo discontinuo e caotico. Tanto che nelle cronache del tempo si registrano commenti sarcastici su come fossero diventate una sorta di “scherzo per i romani”, nonostante il clima di terrore e tensione, perché a volte suonavano dopo che gli aerei avevano già sorvolato la città, oppure quando non c’erano più pericoli.
Dopo la Liberazione di Roma del 4 giugno del 1944 le sirene per un po’ smisero di suonare. Furono riattivate per prova a fine agosto, perché si temevano raid aerei su Roma da parte dei tedeschi. Fu con la fine della guerra che in tutto il Paese si decise di smantellarle.
A Roma già nel 1945 furono disattivate 45 sirene, ma le altre continuarono a suonare ogni giorno, alle ore 12, per test di funzionamento. Negli anni ’50 e ’60 il loro mantenimento si giustificava con i timori per le armi nucleari. Continuarono a suonare una volta al giorno almeno fino al 21 dicembre del 1975, quando si udì l’ultimo suono. Da allora più della metà sono state dismesse, sui tetti di Roma ne sono rimaste 26, circondate da antenne e parabole. Una delle ultime ad essere smantellata fu quella della scuola elementare Guglielmo Oberdan a largo Ravizza, a Monteverde, nel 2000.
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