Nel 1861 degli 11.777 occupati nell’industria metalmeccanica 2500 (21%) lavoravano nel Mezzogiorno, mentre circa 4500 (38%) operavano in Piemonte e Liguria, mentre circa 2800 (24%) in Veneto e Lombardia.
Nel 1866, delle 14.437 tonnellate di cuoio prodotto 4083 (28,4%) provenivano dal Sud, 4150 (28,8 %) da Piemonte e Liguria e 4059 (28,2%) da Veneto e Lombardia.
Nel 1860 il patrimonio equino era posseduto per il 61% dal territorio del Regno delle due Sicilie e solo per il restante 39% dal resto del regno d’Italia. Il patrimonio ovino apparteneva per il 63% al Sud e per il 37% al centro-nord. Quello suino si distribuiva per il 60% nei territori meridionali e per il 40% nel centro-nord. Solo l’allevamento bovino, e non poteva essere diversamente, vedeva invertite le percentuali: 80% nord e 20% Mezzogiorno.
Nel 1860 il Sud forniva oltre il 90% della produzione olivicola nazionale, il 75% di quella vitivinicola, gran parte delle fibre vegetali e tutte le produzioni mediterranee in genere.
All’indomani dell’occupazione savoiarda del Regno dei Borbone, nell’Italia Meridionale, i territori delle Due Sicilie rappresentavano il maggiore produttore europeo di olio ed il secondo di vino, dopo la Francia. Queste produzioni, nel giro di pochi anni divennero la seconda voce attiva della bilancia commerciale italiana.
Nel volgere di appena un decennio (1860-1870) il Mezzogiorno subiva lo smantellamento della propria industria e un prelievo eccezionale, rispetto al regime preunitario, di risorse monetarie e di capitali che ne limitarono drasticamente le possibilità di accumulazione.
L’economia meridionale basata sull’agricoltura fu sottoposta dallo stato italiano a un prelievo di capitali di proporzioni eccezionali sia attraverso la imposizione fiscale, sia attraverso la vendita dei beni demaniali ed ecclesiastici. Le entrate dello stato provenienti dall’ex Regno salirono dai 170 milioni di lire del 1860 ai 414 milioni nel giro di pochi anni; nel 1891 le imposte comunali superarono di tre volte quelle esatte nel periodo borbonico.
Una grande emorragia di capitali dal Mezzogiorno avvenne attraverso la vendita dei beni demaniali ed ecclesiastici affidata alla “Società anonima per la vendita dei beni del Regno d’Italia”, nel quadro di pressanti necessità di bilancio che subordinarono un evento di così enorme portata politica e sociale, specie nel Mezzogiorno, ad obiettivi eminentemente finanziari.
Gli effetti del nuovo regime doganale sulle industrie del Mezzogiorno, che videro improvvisamente ribassata dell’80% la protezione di cui godevano, sono stati definiti “rivoluzionari” e determinarono il collasso di larghi settori dell’industria meridionale. Di tale rivoluzione tariffaria si avvantaggiarono nel primo periodo non tanto le deboli industrie esistenti nelle regioni settentrionali, quanto piuttosto quelle franco-inglesi. Solo quando esse saranno costrette a ritirarsi dal mercato italiano per effetto della nuova tariffa protezionistica che avrà inizio dopo il 1887, il campo resterà ormai libero e sgombro di ostacoli per l’industria italiana del nord, che nel frattempo si era ampiamente rafforzata sotto la buona tutela dello stato sabaudo.
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