Jeff Koons : “l’arte non consiste nel fare un quadro ma nel venderlo”.
L’arte contemporanea è un sistema complesso, fatto di molteplici circuiti (gallerie, case d’asta, fiere, musei, editoria) e molti attori (artisti, mercanti, critici, direttori e curatori di musei, collezionisti, e naturalmente i cosiddetti attori economici come banche, e aziende in genere).
Se in passato sembrava possibile affrontare i problemi artistici quasi esclusivamente attraverso un’analisi storica e qualitativa, oggi la prospettiva di studio che considera l’opera anche come prodotto commerciale, e dunque in chiave economica, è diventata imprescindibile per comprendere il valore dell’arte contemporanea, e la sua importanza per la nostra cultura.
Per Andy Warhol lo stesso mercato dell’arte rappresentava una forma d’arte, che lui amava definire business art.
Provocatoriamente Jeff Koons, come un’iperbole, afferma che “l’arte non consiste nel fare un quadro ma nel venderlo”. Ancora più estremo sembra essere Ian Burn quando sostiene paradossalmente che “non solamente le opere d’arte finiscono per essere merci, ma si ha la schiacciante sensazione che esse comincino la loro vita proprio come merci”.
Per diventare oggetto della produzione di massa, e in serie, con Hans Haacke: “Il mondo dell’arte, e i musei in particolare, appartengono a quello che è stato giustamente definito l’Industria della coscienza. In un sol colpo questo termine – industria appunto – spazza via le nuvole romantiche che avvolgono le nozioni spesso mitiche e ingannevoli utilizzate ampiamente per quello che riguarda la produzione, distribuzione e consumo dell’arte”. E siamo già nel 1985.
In realtà i fenomeni di mercificazione dell’arte esistono da sempre. Con la sola differenza che in passato il termine “sistema dell’arte” era riferito, in modo più circoscritto, alle sole strutture del mercato, in un’accezione più commerciale rispetto a definizioni come “mondo dell’arte” o “ambiente artistico”. Tuttavia si tratta naturalmente di una distinzione relativa, tale da mantenere separate la dimensione economica da quella culturale.
Tutto ciò porta quasi naturalmente, al giorno d’oggi, ad assumere con maggiore enfasi l’interconnessione tra Valore Commerciale e Prodotto Artistico.
L’assioma contemporaneo vuole che l’arte, nelle sue molteplici forme espressive, mantenga come sua essenziale e peculiare funzione quella Estetica, definendone al contempo la sua stessa identità all’interno della cultura. È innegabile che a queste vadano aggiunte, come forza essenziale del suo divenire, altre funzioni che per comodità espressiva definiremo “Funzioni Extra Estetiche“, strettamente legate e connesse alla dimensione ideologico-culturale oltre che economica delle società capitalistiche avanzate.
Il prodotto artistico, per il semplice fatto di essere un bene simbolo, con il suo possesso è finalizzato intimamente al prestigio di chi lo possiede. A questo va aggiunto il valore economico che si attribuisce al “Prodotto artistico”, come qualsiasi altro oggetto della produzione di massa, né più e né meno; un bene esso stesso soggetto allo scambio, e quindi fonte di possibili utili e oggetto di una vera e propria speculazione economica. Naturalmente il Prodotto Artistico riesce, per sua stessa natura, a differenziarsi dall’estetica della massificazione in quanto esso stesso Prodotto Limitato, spesso Unico.
Il passaggio successivo è dato dalla necessità di definire il suo Valore, che dipenderà dal peso della sua unicità/rarità che dipenderà dal grado di desiderio e dal potere d’acquisto dei potenziali acquirenti. In questo ci viene decisamente in aiuto la teoria Marginalista in economia, dove vedremo che l’aumento del prezzo dell’opera d’arte si determina in misura inversamente proporzionale alla sua disponibilità sul mercato.
Nel mondo contemporaneo, naturalmente questa rarità viene regolata in buona misura in modo artificiale, con la selezione e possibilmente con il controllo monopolistico della produzione, da far circolare all’interno dei cosiddetti “Circuiti adeguati”. Fino alla stabilizzazione dell’autore dell’opera, firma, il vero potere nella gestione del prodotto artistico è demandato al Mercante d’arte prima, ed ai Collezionisti poi. Critici, Direttori, Curatori, completano il circuito della valorizzazione dell’opera e dell’artista, determinando con la propria azione, la definizione delle gerarchie di mercato degli artisti. Dunque in sintesi dobbiamo riconoscere che la creazione di un prodotto artistico, definito nei suoi termini culturali e commerciali è il frutto di una stretta sinergia fra i diversi protagonisti del sistema dell’arte.
Naturalmente esistono e sono ampiamente codificati dei parametri precisi che riguardano i criteri di definizione del valore commerciale di una singola opera di un determinato artista. Il rapporto fra qualità e quotazione non è in ogni caso automatico e scontato. Infatti il mercato non sempre premia gli artisti dal riconosciuto valore storico-critico.
Ad ogni modo, per avere un’idea di quello che rappresenta il mondo del valore per l’arte contemporanea si può consultare KunstKompass, che pubblica una classifica dei migliori cento artisti internazionali in attività. Il giudizio attribuito è frutto di una complessa valutazione di tutta una serie di parametri, ma che ad ogni modo, parte dal presupposto che il riconoscimento storico-critico, e dunque l’importanza di un artista nella prospettiva della storia dell’arte, sia il fattore che alla lunga debba essere determinante per la definizione delle sue quotazioni.
Dal punto di vista della domanda di Prodotto Artistico, i principali protagonisti del mercato sono i collezionisti. Il Collezionismo ha diversi moventi: psicologici, sociali, economici. Si fonda in genere su di una adeguata preparazione culturale e sensibilità estetica, per dare vita a collezioni di qualità. Ricordiamo solo alcuni, quelli che fanno parte a buon titolo della Storia dell’Arte.
Andrew Mellon, che contribuì alla costruzione della National Gallery di Washington. I Rockefeller, finanziarono il Metropolitan di New York e furono tra i fondatori del MoMa. Albert Barnes, raccolse la sua collezione nell’omonima fondazione; e poi si devono a Gertrude Vanderbilt Whitney e a Solomon Guggenheim i rispettivi musei. In Italia ricordiamo solo qualche nome: Carlo Guadino a Torino, gli industriali tessili Carlo Frua e Riccardo Jucker a Milano, e tanti altri.
Un caso a sé, in quanto molto cambiato negli ultimi decenni, il ruolo dei musei d’arte contemporanea. Sempre più spesso questi ultimi tendono a perdere la loro connotazione elitaria e si strutturano come luoghi importanti per la cultura del tempo libero. Senza esserne pienamente consapevole, il pubblico si trova dunque, a svolgere un ruolo rilevante nel sistema economico, come referente non tanto del mercato delle opere, quanto degli aspetti collegati alle mostre pubbliche, dal biglietto d’ingresso all’acquisto di cataloghi, manifesti, libri e riviste. Può infine incidere sulle quotazioni di un artista, nella misura in cui il suo apprezzamento ne consolida e aumenta la notorietà, e dunque la desiderabilità delle sue opere da parte di chi è in grado di acquistarle.
Tuttavia, comprendere le complesse dinamiche del mercato dell’arte non è certo un’impresa semplice, perché innanzitutto si dovrebbe parlare di mercati, e considerare anche quello sommerso e quello secondario, meno florido e patinato di quello ufficiale, ma non meno esteso. Oggi si stima che nel mondo questo mercato si aggiri per difetto attorno ai 70 miliardi di euro. Ricordiamo che sempre più spesso il “bene artistico”, viene considerato in parte un vero e proprio bene rifugio, in parte un bene di lusso.
Il Collezionista/Compratore
La figura del collezionista è andata progressivamente diversificandosi nel tempo, piuttosto eterogenea. C’è chi colleziona per amore e seguendo soltanto il proprio istinto, chi invece è guidato da una finalità speculativa. Da sempre, storicamente, il possesso di un quadro importante ha partecipato alla legittimazione del potere dell’acquirente, e anche oggi, nella società del consumo di massa, questa tendenza non viene meno: “l’arte contemporanea risulta in questo momento un bene più appetibile o interessante di altri, e contribuisce certamente alla costruzione di un determinato status sociale”.
All’interno di questa casistica così diversificata si contraddistinguono per il suo ruolo particolare che svolge il cosiddetto Market Maker, un soggetto che non si limita ad interpretare tempestivamente le oscillazioni del mercato, ma che è in grado di crearlo. Un acquisto da parte di un Market Maker è considerato come la definitiva conferma dell’avvenuta affermazione dell’artista. Market Maker per antonomasia e certamente Charles Saatchi, il fondatore della più celebre agenzia di pubblicità del mondo, la Saatchi & Saatchi, appunto.
Ad arricchire poi il già complesso e variegato panorama del collezionismo attuale, sono le banche e le aziende, in particolare per le banche, il loro interessamento all’arte ha avuto un forte impatto sociale, contribuendo a diffondere presso larghi strati dell’opinione pubblica un’immagine dell’arte meno elitaria e più comprensibile ai molti.
Da qualche decennio, un nuovo palcoscenico ha invaso il mondo dell’arte: quello rappresentato dalle Fiere, le Mostre Mercato; che a più riprese hanno contribuito a spettacolarizzare la tendenza commerciale dell’arte.
Nelle fiere, il prodotto artistico diviene “sfacciatamente e definitivamente” merce di scambio tout court. Infatti negli stand appunto i galleristi svolgono la loro funzione principalmente economica.
A questo si aggiunga che le fiere di fatto sono diventate esse stesse occasioni espositive di primaria importanza, a conferma di una relazione sempre più stretta tra dimensione culturale e quella economica dell’arte. Le fiere hanno avuto il merito innegabile di rendere l’arte contemporanea più “democratica”, in qualche modo meno elitaria, la facile accessibilità e la veste seducente delle fiere hanno avvicinato all’arte un pubblico più ampio.
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