“Noi, tempo fatto carne, non siamo in cerca dell’immortalità,
ma della vita eterna”.
(ALESSANDRO D’AVENIA)
Resterà aperta fino al 1 agosto 2022 la mostra “Le tre Pietà di Michelangelo. Non vi si pensa quanto sangue costa”, allestita nelle sale del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. Per la prima volta un’esposizione mette a confronto, vicina l’una all’altra, nella sala della Tribuna di Michelangelo del Museo, l’originale della Pietà Bandini, di cui è da poco terminato il restauro, e i calchi della Pietà Vaticana e della Pietà Rondanini provenienti dai Musei Vaticani.
L’evento è stato pensato in occasione dell’incontro “Mediterraneo frontiera di pace 2022” di cui vi abbiamo parlato nelle precedenti newsletter e che ha visto riunirsi nel capoluogo toscano i Vescovi e i Sindaci provenienti da 20 Paesi che si affacciano sul “Mare Nostrum”. A cura dei direttori dei musei Barbara Jatta, Sergio Risaliti, Claudio Salsi, Timothy Verdon, la mostra è un progetto che vede eccezionalmente coinvolti i Musei Vaticani, il Museo dell’Opera del Duomo, il Museo Novecento di Firenze, il Castello Sforzesco di Milano e le istituzioni dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Comune di Firenze, Comune di Milano e Fabbrica di San Pietro.
Collocate una vicina all’altra, le tre Pietà offrono l’opportunità a studiosi e visitatori di osservare da vicino l’evoluzione dell’arte di Buonarroti nonché la sua maturazione spirituale, dalla prima giovinezza – quando a Roma scolpì per l’antica San Pietro l’opera ora nella navata laterale nord della Basilica – alla sua ultima stagione, quando, ormai vecchio, mise mano alla Pietà oggi a Firenze e poi alla Pietà Rondanini conservata a Milano.
Si tratta di un percorso lungo più di cinquant’anni, che conduce dall’ambizione del giovane che scolpì il proprio nome sul petto della Madonna della versione vaticana, all’immedesimazione personale dell’anziano artista, che in quella del Museo dell’Opera raffigura se stesso nelle sembianze di Nicodemo. Vicino alla propria morte, Michelangelo meditava profondamente sulla Passione di Cristo, come egli stesso fece capire in un coevo disegno della Pietà, donato alla marchese di Pescara Vittoria Colonna, dove scrisse la frase dantesca: “Non vi si pensa quanto sangue costa (Paradiso XXIX, 91). Risultato sublime di questa meditazione spirituale fu l’esecuzione della Pietà Rondanini, la cui estrema bellezza rifulge nel tramonto della figura.
In occasione della mostra è stato pubblicato un catalogo realizzato da Silvana Editoriale con saggi e schede dei curatori Barbara Jatta (direttore dei Musei Vaticani), Sergio Risaliti (direttore del Museo Novecento Firenze), Claudio Salsi (direttore dell’Area Soprintendenza Castello, Musei Archeologici e Musei Storici), Timothy Verdon (direttore del Museo dell’Opera del Duomo a Firenze) e di altri studiosi. Nel prossimo autunno, invece, i tre calchi in gesso delle Pietà originali saranno esposti a Milano nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale in un nuovo allestimento appositamente progettato.
Ci soffermiamo ora sul dettaglio delle tre opere michelangiolesche. La prima Pietà fu realizzata a ridosso del giubileo del 1500, quando al giovane Buonarroti fu commissionata “una Vergine Maria vestita con Cristo morto, nudo in braccio”. Con la Pietà Vaticana (1498-1499), l’artista impressionò il suo tempo: tale era la bellezza di quel Cristo nudo sorretto amorevolmente dalla Vergine, una giovanissima ragazza umile e casta, avvolta in un profluvio di panneggi per cui Maria è Madre e sposa. Quella giovinezza venne criticata dai più, parendo poco consona alla Madonna. Come ci ricordano le fonti, Michelangelo si difese dalle critiche spiegando che la verginità e la purezza mantengono giovani e belle le donne. Il capolavoro venne collocato nella cappella di Santa Petronilla poco prima del 1500, anno del giubileo. Successivamente la Pietà fu spostata in San Pietro, e nel XVIII secolo fu esposta a destra della navata dove ancora oggi la si può ammirare.
Molti anni dopo la Pietà vaticana, Michelangelo tornò a scolpire lo stesso soggetto. Ormai anziano, sempre più concentrato sul destino umano, sulla morte e resurrezione di Cristo, lavorava in preda a frequenti crisi depressive. Viveva di contrasti, tra l’attrazione per la bellezza, il pungolo dei sensi e il desiderio di ascesi. Cominciava a temere la propria morte, il giudizio divino. Fece voto di povertà. Si aggrappava infine alla croce e metteva al centro della sua esistenza e della sua ispirazione Cristo, salvatore dell’umanità. L’esecuzione della Pietà Bandini fu lunga e difficile, la datazione controversa. Di sicuro il maestro cominciò a lavorare il blocco intorno al 1547. Tuttavia, Michelangelo non portò a termine il lavoro, e la statua, prima di essere venduta nel 1561 a Francesco Bandini, fu conclusa in alcune parti da Tiberio Calcagni, principale assistente del Buonarroti.
La statua avrebbe dovuto essere collocata in Santa Maria Maggiore a Roma, probabilmente per la sepoltura di Michelangelo. Quel blocco di marmo, però, era pieno di impurità ed estremamente duro, tanto che al contatto con lo scalpello emetteva nugoli di scintille. Nel 1553 Vasari, in visita allo studio dell’artista, ebbe l’impressione che Michelangelo esitasse a mostrargliela non terminata. Cercando di variare la posizione delle gambe di Cristo, lo scultore provocò la rottura di un arto. Successivamente, intorno al 1555, prese a martellate la statua rompendola in più punti. Infatti, ancora oggi si osservano segni di rottura sul gomito, sul petto, sulla spalla di Gesù e sulla mano di Maria.
Alla morte dell’artista nel 1564 si pensò di utilizzare il gruppo per la sepoltura di Michelangelo a Firenze in Santa Croce. L’opera invece rimase nella villa dei Bandini a Montecavallo e solo nel 1674 venne acquistata da Cosimo III de’ Medici che la destinò ai sotterranei di San Lorenzo. Nel 1722 la Pietà fiorentina fu trasferita in Santa Maria del Fiore. Dal 1981 si trova nel Museo dell’Opera del Duomo.
Il progetto dell’ultima Pietà detta Rondanini risalirebbe agli anni tra il 1552 e il 1553. Secondo le fonti, Michelangelo vi lavorò fino all’ultimo. Infatti, l’opera fu rinvenuta nel suo studio dopo la sua morte. Acquistata dai marchesi Rondanini nel 1744, la Pietà è arrivata a Milano dove si conserva nel Castello Sforzesco dal 1952. Esito finale di un lungo percorso di arte e di fede la Pietà Rondanini è piuttosto una preghiera che un’opera d’arte, o meglio è la dimostrazione artistica del fatto che l’uomo di fede ha visto oltre le apparenze reali, che la mano non riesce a restituire quanto l’occhio interiore ha potuto contemplare.
Gesù e Maria sembrano esseri fantasmatici, la pietra tende a farsi materia di luce. Cristo esausto sembra scivolare verso la tomba e con il figlio anche la Madre, la cui umanità è come interamente assorbita dal sentimento di amore. Un unico destino travolge miracolosamente madre e figlio in questa metamorfosi mistica, la stessa già provata al momento dell’annunciazione. Ancora una volta Maria è talamo per il suo Signore. L’evidente inclinazione delle due figure, a una visione laterale, pare suggerire una riflessione sulla Resurrezione e l’Assunzione. Se osserviamo bene infatti i due corpi paiono distaccarsi dal suolo, e assieme raggiungere il Padre.
Commenti recenti