Avv. Antonio Lonardo-Avv. Lara Mutascio

 

LA POLITICA DI RIALZO DEI TASSI DI INTERESSE, CHE LE BANCHE CENTRALI DI TUTTO IL MONDO HANNO MESSO IN ATTO GIÀ DA UN BEL PEZZO PER TENERE SOTTO CONTROLLO L’INFLAZIONE, OSSIA L’AUMENTO GENERALE DEL LIVELLO DEI PREZZI, CHE OVUNQUE STA METTENDO IN DIFFICOLTÀ FAMIGLIE E IMPRESE, HA PORTATO LE BANCHE A SCARICARE IL PREDETTO RIALZO SUI CONSUMATORI ED IN PRIMIS SULLE IMPRESE, I QUALI ALL’IMPROVVISO SI SONO VISTI AUMENTARE I TASSI SUI MUTUI E SUI PRESTITI.

Tutto questo, chiaramente, ha fatto sì che le più grandi banche italiane nel solo 2022 abbiano guadagnato oltre il 30 per cento in più rispetto all’anno precedente.

Secondo i dati dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) il costo medio dei prestiti fatti dalle banche in Italia è effettivamente molto cresciuto: i tassi di interesse sui mutui per le famiglie sono più che raddoppiati, dall’1,66 di un anno fa al 4 per cento di marzo; anche i tassi dei prestiti alle imprese sono molto cresciuti, dall’1,23 al 3,9 per cento.

I tassi di interesse corrisposti ai conti correnti dei clienti però non sono aumentati della stessa misura: sempre secondo i dati dell’ABI gli interessi pagati sui soldi depositati sono saliti dallo 0,02 per cento di un anno fa allo 0,26 di marzo scorso.

Questo significa che le banche italiane hanno scaricato il costo dell’aumento dei tassi di interesse sui clienti: a fronte di un aumento dei tassi di interesse di riferimento, hanno aumentato quelli dei mutui (ossia quelli che le banche stesse percepiscono) di 2,34 punti e quelli sui conti correnti (che le banche devono pagare) di solo 0,24 punti percentuali. Aumentando i tassi in loro favore di quasi dieci volte in più rispetto ai tassi che invece che dovrebbero corrispondere ai clienti, le banche ci stanno quindi guadagnando notevolmente.

Proprio la situazione di grave difficoltà economica dei risparmiatori, conseguente all’aumento dei tassi di interesse, ovvero relativamente al pagamento di rate più pesanti e la temporanea indisponibilità di denaro, dà la possibilità ai predetti di optare per la rinegoziazione dei prestiti con la quale il debitore consegue l’opportunità di un differimento nella gestione degli interessi e quindi un differente rimborso della linea di credito.

La rinegoziazione dei finanziamenti è la pratica secondo la quale il beneficiario di un prestito definisce nuovamente con la banca le condizioni del contratto. Si tratta di un’operazione che si può effettuare esclusivamente tra la banca e il beneficiario originario.
Le nuove condizioni vengono stabilite sottoscrivendo il cosiddetto accordo di rinegoziazione, tramite il quale il debitore può ottenere un differimento per quanto riguarda il pagamento degli interessi applicati al capitale.
Tuttavia non sono solo gli interessi si possono modificare; è possibile infatti che la rinegoziazione riguardi anche altri parametri del contratto e tra questi la necessità di rivedere le spese applicate dalla banca, come lo spread e la modalità di rimborso delle rate di ammortamento.

Ovviamente l’obiettivo della rinegoziazione è ottenere condizioni migliori per il prestito in corso, modificando una o più clausole del contratto di prestito garantendo al richiedente di far fronte più facilmente ai pagamenti mensili, evitando che la situazione familiare o aziendale possa degenerare i che comporterebbe la sottrazioni di importanti risorse per i consumi e per lo sviluppo in generale dell’economia nazionale.

A marzo 2023 il totale delle rate non pagate da quasi un milione di famiglie italiane si è attestato a quasi 15 miliardi. A pesare sui bilanci delle famiglie e sulla possibilità di rispettare le scadenze di pagamento di mutui e prestiti è stato soprattutto il rialzo continuo dei tassi di interesse adottato dalla Bce per contrastare la corsa dell’inflazione. Da un’analisi della Fabi, la Federazione autonoma dei bancari italiani, emerge che, dei 14,9 miliardi di crediti deteriorati, 6,8 miliardi sono mutui non pagati, altri 3,7 sono rate di credito al consumo non rimborsato e altri 4,3 rientrano tra arretrati di altri prestiti personali. I prezzi non calano significativamente e l’aumento così veloce del costo del denaro sta provocando un rialzo dei tassi di interesse su prestiti e mutui che mette in difficoltà sia le famiglie sia le imprese.

La situazione attuale comunque ha portato la Banca d’Italia a inviare alle banche una comunicazione in cui le invita a rivedere le condizioni contrattuali più in favore dei clienti e a non aumentare gli oneri a loro carico, visto che la redditività sta già migliorando. A livello politico, inoltre, si sta discutendo di una tassa sugli extra profitti delle banche.
La verità è che le banche italiane possono comunque permettersi di applicare condizioni che vadano maggiormente a loro favore perché il sistema italiano è un sistema cosiddetto “banco-centrico”, in cui le imprese si finanziano soprattutto con i prestiti bancari e meno quotandosi in borsa o con altri strumenti finanziari. Significa che quando un’azienda ha bisogno di liquidità, in Italia le banche sono praticamente l’unica opzione, e quindi le aziende sono costrette ad accettare anche tassi alti.

I tassi di interesse sono lo strumento principale a disposizione delle banche centrali per l’indirizzo della politica monetaria, ossia quell’insieme di decisioni che orientano l’andamento della moneta, dei mercati finanziari e soprattutto dell’inflazione. Sostanzialmente sono i tassi a cui le banche centrali prestano alle altre banche e rappresentano quindi il costo del denaro. Quando le banche centrali decidono di aumentare i tassi di interesse il loro obiettivo è di “raffreddare” un’economia che sta crescendo troppo, e che in gergo viene definita “surriscaldata”. È un’economia in cui le persone vogliono consumare più di quanto il sistema riesca a produrre: la domanda supera l’offerta, con un rapido aumento dei prezzi e quindi dell’inflazione.

Ebbene le proposte delle banche includono diverse soluzioni: l’allungamento dei tempi di rimborso dei mutui a tasso variabile, l’introduzione di un tetto massimo per le variazioni dei tassi, la sospensione temporanea del pagamento della quota capitale delle rate sia per i mutui a tasso variabile che fisso.
La FABI sottolinea che tutte queste soluzioni comportano costi per le famiglie e le imprese, in quanto ciascuna modifica il piano di ammortamento del prestito.

Sicché è fondamentale valutare attentamente la sensibilizzazione della clientela. È importante fare attenzione a questi aspetti e valutarne la convenienza in base alle caratteristiche originali del mutuo, come l’importo, la durata, il tipo di tasso (fisso o variabile), il tasso di interesse nominale e il tipo di ammortamento, così come la durata della sospensione richiesta. L’allungamento delle rate comporta un maggior pagamento degli interessi e può precludere ai clienti di beneficiare appieno di un possibile calo dei tassi nel medio-lungo periodo.
Compito della politica economica è rimuovere gli ostacoli, offrire gli incentivi perché lo sviluppo del mercato dei capitali guadagni momento e, soprattutto, non si interrompa come è successo in passato. Come per il resto dell’economia italiana, questo processo trarrebbe beneficio da un alleggerimento del carico fiscale gravante sulle imprese e da un maggior controllo sulle banche che vanno sensibilizzate nel prestare particolare attenzione nel proporre modifiche contrattuali a sfavore dei clienti basate sull’andamento dell’inflazione e sollecitandole anche a valutare una revisione delle variazioni effettuate in passato.

Resta naturalmente salva la competenza dell’Autorità giudiziaria ed eventualmente, come strumento di risoluzione stragiudiziale delle controversie dell’Arbitro Bancario Finanziario, sulla verifica della sussistenza del giustificato motivo e della eventuale abusività delle clausole contrattuali (Cass. Sez. Un. N. 9479/2023 – sent. Corte di Giustizia Europa maggio 2022)

Le associazioni di categoria hanno rappresentato, inoltre, le condizioni di disagio economico in cui versano molti consumatori e le imprese a causa dell’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse; sottolineando in particolare le difficoltà della clientela di banche e di finanziarie per ottenere un prestito, come anche l’impossibilità di fare fronte a debiti già contratti.

Proprio le associazioni hanno segnalato che il fenomeno si è acuito negli ultimi mesi per il considerevole incremento delle rate dei mutui a tasso variabile e che questa situazione ha favorito la maggiore esposizione dei consumatori ai rischi di sovraindebitamento, dovuti anche a un uso poco accorto delle carte revolving e alla crescente offerta di servizi di rateizzazione dei pagamenti legati all’acquisto di beni e servizi online.

Nel maggio 2023 si è svolta una riunione plenaria dedicata alle conseguenze dell’inflazione per i clienti di banche e finanziarie con particolare riferimento agli effetti sulle rinegoziazioni dei mutui e sulle variazioni unilaterali delle condizioni contrattuali.

Ebbene su questi temi la Banca d’Italia si è impegnata a porre in essere, insieme alle associazioni, iniziative mirate di educazione finanziaria per favorire una maggiore conoscenza da parte della clientela dei problemi rappresentati (tra gli altri, criptoattività, credito revolving e buy now pay later), dei connessi profili di rischio e delle tutele attivabili.

Anche le recenti iniziative del Governo dirette a tassare gli extra profitti non sono sufficienti.

E’ altrettanto importante richiamare le banche  a comportamenti e pratiche corrette in maniera tale da consentire il normale  e virtuoso confronto non alterando le regole di mercato ed eventualmente sanzionare gli abusi derivanti dalla “posizione dominante”.

In tale ambito  può essere utile prospettare azioni legali / giudiziarie a tutela dei soggetti vessati, atteso che gli interessi in gioco, quelli dei consumatori e quelli delle imprese, sono altrettanto meritevoli e strategici per il superamento dell’attuale crisi economica.

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