di Giovanni Loche
La competitività in ogni ambito delle attività umane, i conflitti di ogni genere, l’abuso dei diritti e della dignità di tante vite umane, hanno creato e stanno creando degli squilibri sociali immensi.
Nonostante l’attuale contesto di globalizzazione, tali squilibri permangono, e ne sorgono ogni giorno degli altri con delle dimensioni ancora più problematiche, frutto dell’inadeguato coordinamento degli Stati. Proprio questi ultimi sono spesso orientati alla ricerca di potere, che perlopiù crea disuguaglianze, predominio di gruppi economici e finanziari che dettano l’agenda della politica, suscitando nello stesso tempo sdegno e violenza a danno del bene comune.
Secondo diversi filosofi, una nuova epoca sta però avvicinandosi. La parola chiave che la definisce è condivisione. Ciò che contraddistingue questa nuova epoca è infatti la cooperazione, la capacità di singoli, gruppi e nazioni di condividere ciò che hanno e di lavorare assieme nella risoluzione dei problemi, promuovendo un clima di pace. A garantire il futuro del pianeta non sarebbe quindi la competizione, ma la capacità di aiutarsi, di unire le proprie forze puntando al benessere di tutti, nessuno escluso. Il nuovo che avanza si caratterizza per la progressiva presa di coscienza che l’essere chiamati al dono significa ascoltare costantemente la parte migliore di noi stessi.
La filosofia della condivisione ritiene che l’uomo stia iniziando a vedere il mondo con occhi nuovi. È un uomo che vede le cose con la speranza che quel piccolo seme da lui gettato servendo il prossimo, nell’educazione dei giovani, nel soccorrere chi è più in difficoltà, nell’aiutare lo straniero a integrarsi, nel salvaguardare l’ambiente, possa crescere e mutarsi in coscienza collettiva. Impegnato nell’educare e nell’educarsi alla gioia, l’homo empaticus ha capito che la “vita buona” richiede reciprocità e che dare è sempre anche ricevere.
L’essere umano non viene dunque considerato rapace e indomabile, creatura fatta di passioni e impulsi che spingono inesorabilmente a consumare. Generoso e capace di andare incontro ai bisogni dei suoi simili, l’uomo avrebbe piuttosto smarrito il cammino che lo conduce verso relazioni più giuste con i suoi simili, con l’ambiente che lo ospita, e verso una vita più salutare e felice. Egli avrebbe difficoltà a valutare il mondo e le relazioni sociali secondo parametri diversi da quelli imposti e favoriti dall’attuale sistema economico e dalle avide logiche che ne stanno alla base. In ogni uomo ci sarebbe un potenziale d’amore e creativo inespresso, una forza bloccata da un consolidato modo egoistico di pensare e agire che esclude ogni senso di responsabilità nei riguardi del prossimo. L’uomo vive al di sotto del suo reale potenziale e fatica nel suscitare, proteggere e promuovere la vita, la fraternità e la comunione.
Una visione troppo ottimistica? Può darsi. Ma si tratta, secondo questi stessi filosofi, di un percorso globale al quale ogni uomo sarà presto chiamato, un percorso di amore e di coraggio che non lascia vere e proprie alternative. Come a dire: se non accetteremo la cooperazione potremmo seriamente rischiare di fare tutti quanti una brutta fine. Il pianeta potrebbe non resistere alle continue tensioni cui l’umanità lo sta sottoponendo.
Da qui l’accento posto da molti studiosi sul «prestare attenzione» e sul «prendersi cura», sul guardare con amore e compassione il mondo naturale che ci circonda, sul combattere per una società più giusta.
In ogni paese stanno nascendo nuovi gruppi con il desiderio di tradurre in modo concreto i più alti ideali e di lavorare per il bene degli altri, superando barriere ed egoismi. Un numero crescente di uomini e donne coraggiosi stanno spendendo la loro vita per cause nobili; uomini e donne aperti al mondo, che hanno saputo leggere i segni dei tempi e provano a dare risposte adeguate, il più delle volte pagando un caro prezzo.
Se c’è qualcosa che la natura ha reso meno suscettibile di altre di proprietà esclusiva, questa è l’azione del pensiero che noi chiamiamo idea. Può essere posseduta in modo esclusivo solo fino a quando la teniamo per noi, ma nel momento in cui la divulghiamo diviene gioco forza possesso di chiunque la ascolti e chi la ascolta non può più perderne il possesso… Inoltre il fatto che qualcuno riceva un’idea non implica che chi la fornisce ne perda la possibilità: come chi accende la sua candela dalla mia riceve luce senza lasciarmi al buio, chi riceve un’idea da me riceve un’istruzione senza che la mia venga diminuita… È quindi un fatto di natura che le idee possano diffondersi da uomo a uomo senza restrizione, con mutua crescita degli individui e della loro condizione […] e allora le invenzioni non possono essere, per natura, soggette a proprietà.
(Thomas Jefferson, inventore e terzo presidente degli Stati Uniti, in una lettera datata 13 agosto 1813)
Ricominciamo da una distinzione semplice e nota a chi lavora nel settore dell’istruzione tra conoscenze e competenze. Indubbio è che le seconde si sviluppano di più di fronte a una maggiore quantità di conoscenze se, su queste, c’è uno scambio che porti al miglioramento delle capacità di esposizione, sostegno, argomentazione ecc. In pratica, se ho delle conoscenze sarò spinto a sviluppare competenze su di esse se sono incoraggiato a esporle e scambiarle con altre persone che avranno, a loro volta, le stesse motivazioni. La condivisione favorisce le competenze che migliorano le conoscenze e stimolano opinioni e punti di vista a vantaggio di tutti.
Erroneamente, talvolta, scambiamo la condivisione con l’annullamento della competizione, ma è esattamente l’opposto: una maggiore condivisione incrementa le competenze e chi è particolarmente dotato ne trarrà sicuramente maggior beneficio e permetterà a chi ne ha meno di accrescere le proprie capacità e conoscenze mantenendo così il livello dello scambio il più alto possibile.
Un aspetto sicuramente formativo che l’educazione alla condivisione mette in luce è che quando essa manca si creano le occasioni (spesso artificiali) di conflitti e abusi. In un contesto globalizzato, come quello che ci descrive l’attuale economia, sembrerebbe naturale che la condivisione di risorse e conoscenze sia la conseguenza necessaria e utile per un benessere comune e per un migliore sfruttamento e godimento delle stesse per tutti (e sottolineiamo soprattutto le conoscenze). Ma la competitività in ogni ambito delle attività umane sembra aver creato squilibri sociali immensi apparentemente insanabili perché ha provocato, anche nelle nuove generazioni, quello spirito di competizione che fa credere che sapere di più consenta di primeggiare sugli altri.
Siamo coscienti del fatto che la spinta individualistica ha liberato enormi energie, ha sostenuto la vitalità di un mercato capace di esprimere sempre nuove domande. Oggi, però, quello sviluppo è rallentato entrando in crisi in modo irreversibile, c’è un dissolvimento delle capacità decisionali nelle questioni di interesse collettivo e l’autonomia dei comportamenti è sfociata in forme di disagio. Si crede quindi che i valori su cui occorre puntare poggino meno sulla rivendicazione dell’autonomia personale e sempre più sulla riscoperta dell’altro, sulla relazione e la responsabilità. In sintesi, sulla condivisione.
Facile è vedere che la stessa scienza vive di condivisione, di conoscenze, che non obbligano ogni volta gli scienziati a ripartire da principio, così come nel campo della tecnologia ogni nuovo dispositivo, frutto di un’idea, è a sua volta il miglioramento o la rivalutazione di una già sperimentata da altri (il campo della rivoluzione tecnologica è un buon esempio per mostrare che si può avere successo individuale anche mettendo a disposizione il frutto delle proprie idee). E nel settore delle nuove tecnologie un esempio, molto vicino alle nuove generazioni, è il successo dei sistemi open source.
Più dettagliatamente, la condivisione economica è l’utilizzo in comune di una risorsa e si riferisce all’uso congiunto ed è anche correlato anche al processo di dividere e distribuire al libero uso di un bene. La condivisione in senso economico slega il concetto di proprietà dal concetto di prodotto ed è considerata un aiuto economico e ambientale; e secondo alcuni economisti,un’’economia del condividere conoscenze e competenze può giocare un ruolo significativo nell’economia di mercato.
Cercando “filosofia della condivisione” in rete si trovano soprattutto testi di economia. Questo non stupisce. La società stessa si basa sul principio della condivisione (fini e mezzi) almeno fino a quando è utile all’obiettivo ultimo dell’economia: la sopravvivenza.
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