Elementi di tipicità di questo formaggio fresco a pasta filata, sono soprattutto costituiti dalla materia prima impiegata, il latte fresco di bufala, particolarmente ricco in grasso e proteine, e dalla filatura.
Operazione, quest’ultima, consistente nel lavorare a mano la pasta del formaggio a fine maturazione con acqua bollente fino a farla “filare”, in modo da ottenere la particolare consistenza del prodotto finale ed il caratteristico “bouquet”, determinato dalla microflora particolare che si sviluppa durante le varie fasi della lavorazione. La filatura si avvale di un mestolo e di un bastone, entrambi in legno, sollevando e tirando continuamente la pasta fusa fino ad ottenere un impasto omogeneo. Segue poi la formatura, che in molti caseifici si esegue ancora a mano con la tradizionale “mozzatura”, che il casaro effettua con il pollice e l’indice della mano. Le mozzarelle così prodotte vengono poi lasciate raffreddare in vasche contenenti acqua fredda e infine salate. La crosta è sottilissima e di colore bianco porcellanato, mentre la pasta non presenta occhiature ed è leggermente elastica nelle prime otto-dieci ore dalla produzione, e poi sempre più fondente. Il disciplinare, oltre alle classiche forme tondeggianti, prevede altre tipologie commerciali: i bocconcini, le ciliegine, le perline, i nodini, gli ovolini e le famosissime “trecce”. Il peso varia secondo la forma, da 10 a 800 grammi (3 kg per le trecce). E’ ammessa anche l’affumicatura, un antico e tradizionale processo naturale di lavorazione, ma in tal caso la denominazione di origine deve essere seguita dalla dicitura “affumicata”. Mediamente occorrono 4,2 litri di latte di bufala per produrre un chilogrammo di mozzarella.
Le origini del prodotto sono direttamente all’introduzione del bufalo in Italia. Numerose sono le ipotesi sull’epoca di introduzione in Italia del bufalo, originario dell’India orientale. Secondo alcuni autori la bufala italiana avrebbe origine autoctone, per il ritrovamento di reperti fossili nella campagna romana, altri sostengono che essa sia stata introdotta in seguito all’invasione dei Longobardi, altri ancora dicono che furono i re Normanni intorno all’anno 1000. La confusione si pensa sia stata generata dal fatto che, con il termine di bubalus, in epoca romana si indicavano buoi, alci ed altri ruminanti tra cui i buoi selvatici. Le prime notizie documentate sulla presenza del bufalo in Italia risalgono intorno al XII-XIII secolo d.C. (Archivio Abbazia Farpa), soprattutto a seguito dell’impadulamento del basso versante tirrenico. La parola “Mozzarella” deriva certamente dal termine “mozzare”, operazione di formatura praticata tradizionalmente a mano nella fase finale della lavorazione. Tale termine appare per la prima volta in un testo di cucina citato da un cuoco della corte papale nel XVI secolo. Ma già nel XII secolo, i monaci del monastero di S. Lorenzo in Capua (CE) usavano offrire, per la festa del santo patrono, una “mozza o provatura” accompagnata da un pezzo di pane. I Borboni prestarono molta attenzione all’allevamento del bufalo tanto da creare un allevamento nella tenuta reale di Carditello dove nella metà del Settecento, insediarono anche un caseificio. Nella piana del Volturno ed in quella del Sele esistono ancora le antiche bufalare, costruzioni circolari in muratura con al centro un camino per la lavorazione del latte e con piccoli ambienti addossati alle pareti destinati all’alloggio dei bufalari. Particolarmente caratteristica è quella presente all’azienda agricola sperimentale “Improsta” ad Eboli, di proprietà regionale.
Negli ultimi decenni il patrimonio bufalino, nell’area di produzione, è notevolmente aumentato, inversamente alla riduzione numerica della popolazione bovina. Questo processo, intensificatosi negli ultimi 15-20 anni, ha favorito lo sviluppo dell’intera filiera, cui sono impegnati oltre 2.000 imprenditori e 250 caseifici (anche se i caseifici iscritti alla DOP sono 128), e che a sua volta alimenta un indotto che oggi vede impegnati nell’area DOP oltre 20 mila addetti. Attualmente il patrimonio bufalino si aggira intorno a 250.000 capi, di cui circa 130 mila bufale in lattazione, distribuiti in 1850 allevamenti. L’80% è distribuito nell’ambito del territorio campano, il restante 20% è dislocato nel basso Lazio, in Puglia e in Molise. Mediamente si producono circa 33 mila tonnellate di Mozzarella di bufala campana DOP all’anno (dati 2008: 31.960 t), con un incremento medio costante nell’ultimo decennio (anche se nel 2007-08 per i noti fatti ambientali la produzione ha subito un certo rallentamento). Il fatturato espresso dal comparto si aggira intorno ai 400 milioni di euro, con un aumento del 5% annuo delle esportazioni. La percentuale di mozzarella dop venduta all’estero è di circa il 18% del totale formaggi italiani. Il consumo presenta un trend positivo con un incremento annuo pari a circa il 10%.
La denominazione “Mozzarella di Bufala Campana” è stata riconosciuta con Regolamento CE n. 1107/96 (pubblicato sulla GUCE L 148/96 del 21 giugno 1996). Il riconoscimento nazionale era avvenuto con DPR 10 maggio 1993 (pubblicato sulla G.U. del 17 settembre 1993) unitamente al Disciplinare di produzione. Precedentemente al Reg. CE n. 2081/92, la denominazione di origine era già stata riconosciuta a livello nazionale con il DPR 15 settembre 1988 (pubblicato sulla G.U. n. 44 del 22 febbraio 1989). Successivamente, con Decreto ministeriale del 7 aprile 1998, il MiPAF ha determinato gli elementi di etichettatura per la denominazione registrata, mentre con successivo Decreto del 21 luglio 1998 ha stabilito i criteri per l’utilizzo dei termini di designazione del prodotto. Con successivo regolamento CE n. 103/2008 (pubblicato sulla GUCE L31 del 5 febbraio 2008) sono state approvate alcune modifiche al disciplinare di produzione in ordine alla disciplina produttiva e all’ampliamento dell’area di produzione (le modifiche al disciplinare sono state pubblicate sulla G.U. n. 47 del 25.02.2008, pag. 36).
Il Consorzio “Mozzarella di Bufala Campana” ne è il relativo organismo di tutela. (Fonte: Regione Campania, Assessorato Agricoltura)
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