Il canto chiamato “beneventano” rappresenta una variante delle tradizioni musicali diffuse nell’Europa romano-germanica. Nel caso specifico, nel Ducato longobardo di Benevento si affermò dapprima soprattutto negli ambienti monastici, maggiormente legati al potere, come la chiesa di Santa Sofia.
Esistono delle similitudini oggettive tra la musica beneventana e quella ambrosiana della Chiesa milanese che sono giustificabili come un’interrelazione tra i domini Longobardi del nord e il Ducato autonomo di Benevento, in Campania.
L’VIII secolo coincide per i Longobardi del sud il momento di massima espansione: la città di Benevento vede accrescere il suo prestigio, mentre nell’Italia settentrionale la capitale Pavia viene conquistata dai Carolingi, segno del declino di quelli che erano considerati indomabili guerrieri germanici.
Contestualmente, il canto beneventano si diffonde in un’area molto vasta, grazie al prestigio politico della città e all’autonomia che la Chiesa locale mantenne rispetto a quella di Roma.
Nel 1058, papa Stefano IX, già abate di Montecassino, proibì l’uso del canto ambrosiano nella liturgia, che venne poi totalmente soppiantato da quello gregoriano. A ciò si aggiunse la scelta di utilizzare il rotolo per la liturgia anziché il libro in forma di codice, al fine di sottolineare la solennità di alcuni riti.
Ad esempio, il canto della veglia del Sabato Santo si apre con la parola “Exultet”, segnale per i fedeli dell’annuncio della veglia del mistero pasquale dell’umana redenzione.
In Italia meridionale, tra il X e il XIV secolo, questo canto venne ricopiato su fogli di pergamena cuciti in modo da formare dei lunghi rotoli. Generalmente accanto al testo erano segnate anche le indicazioni musicali per intonare la melodia ed erano inoltre presenti anche una serie nutrita di miniature che illustravano scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, varie fasi del rito eucaristico e rappresentazioni delle autorità religiose e politiche. In pratica, si trattava di un vero e proprio immaginario visivo per il popolo dei fedeli, pressoché totalmente analfabeti.
Con l’XI secolo, infatti, si diffuse l’abitudine di scrivere il rotolo del canto beneventano in due direzioni contrapposte: in questo modo, il diacono dal pulpito poteva intonare il testo, mentre la folla dei presenti osservava le illustrazioni che si dispiegavano sotto i loro occhi.
Attualmente ci sono pervenuti trentadue rotoli liturgici, di cui la maggior parte risulta essere in scrittura beneventana. Tra questi, il canto dell’Exultet ricorre per ben ventotto volte. Uno dei rotoli meglio conservati è conosciuto con il nome di Exultet Casanatense 724 (B I 13) 3 e fu scritto a Benevento nel XII secolo.
(da longobardinitalia.it)
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