E’ trascorsa una settimana da quando ho ricevuto la prima dose di Astrazeneca. Lunedì scorso, infatti, mi sono recato al Mandela Forum, uno dei maggiori centri vaccinali della città di Firenze, per avere il vaccino, in quanto docente, secondo le indicazioni della mia regione, la Toscana. E’ successo il 15 marzo, alle 14 in punto, ossia due ore prima dello stop alla somministrazione stabilito dal Governo italiano in accordo con altri Paesi europei a seguito di alcune morti sospette di persone che avevano già ricevuto la fiala di origine anglo-svedese.
Quando mi sono recato al palazzetto dello sport, però, ero ignaro di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. Dentro di me non c’erano timori per il gesto che stavo compiendo nonostante le notizie allarmanti al telegiornale e le paure crescenti sui social. Piuttosto ero emozionato perché consapevole che quella giornata era stata possibile soltanto grazie a migliaia di ore di lavoro di ricercatori giovani e malpagati, al coraggio dei primi volontari che si erano resi disponibili alla sperimentazione del vaccino, al nervosismo di chi attendeva un risultato, alla gioia di chi avrà urlato al comparire di un dato su un computer visto che nessuno avrebbe scommesso su un vaccino contro il Covid appena un anno dopo lo scoppio della pandemia.
Ebbene, proprio per tutti i motivi che ho elencato, subito dopo l’iniezione nel box 11, mi è venuto spontaneo ringraziare i due medici che mi avevano preso in carico, gli infermieri che mi avevano guidato, i dipendenti dell’Asl che mi avevano accolto all’accettazione, i volontari della Protezione Civile che ho incontrato nel parcheggio. “Grazie a lei di essersi vaccinato” mi ha risposto un dottore col camice bianco. Ho sorriso, ero io ad aver ricevuto il più bel regalo di questo anno folle.
Non era mia intenzione raccontare pubblicamente la mia esperienza di vaccinato al contrario di tante altre persone che hanno postato la loro foto sui social mentre sono in postazione per ricevere la siringa sul braccio. La vaccinazione è un gesto importante ma non per forza deve diventare pubblico, anche per rispetto dei tanti che, più che legittimamente, lo stanno attendendo. Ne parlo ora soltanto perché mi è toccato l’Astrazeneca come definito dal piano vaccinale per la mia categoria di insegnante. Sì, proprio quello finito nel mirino anche se non si trattava del lotto sequestrato dai Nas e che ha determinato la sospensione per tre giorni su tutto il territorio nazionale.
Da lunedì ad oggi abbiamo trascorso la settimana più pazza del mondo anche se io non potevo saperlo quando stavo per entrare al Mandela. D’altronde era filato via tutto liscio segno di una organizzazione impeccabile. L’unico neo la prenotazione. Un terno al lotto: ore al computer in attesa del mio turno. Nessun problema, invece, per raggiungere la sede della vaccinazione, parcheggio facile, nessuna fila all’ingresso, zero attesa per la registrazione e somministrazione in sicurezza. Ingressi e uscite separate. Tutti cortesi e sorridenti. Mezz’ora e arrivederci. Soltanto una volta a casa mi sono accorto di ciò che stava accadendo intorno. Ho aperto le agenzie e Whatsapp e ho capito di essere arrivato in zona Cesarini. Alle 16 il primo lancio ha annunciato che Draghi, in coordinamento con Merkel e Macron, aveva deciso la sospensione della somministrazione in via cautelativa ed infatti i messaggi di alcuni colleghi confermavano di essere stati rimandati indietro a Firenze ed Empoli, segno che la disposizione aveva già mietuto le prime vittime. Tutto rimandato, tutto è precipitato ancora una volta nell’incertezza.
Sappiamo com’è andata a finire. Giovedì pomeriggio l’Ema ha annunciato che Astrazeneca è sicuro perché non c’è alcuna correlazione tra le morti sospette e l’inoculazione del vaccino. Storia finita, per fortuna, anche se resta il rammarico per i tre giorni persi e per le numerose disdette di prenotazioni. La paura fa 90 e occorre avere il massimo rispetto per coloro che nutrono dei dubbi anche se mai come adesso è fondamentale credere nella forza della scienza e della logica. Credo che ciò che abbiamo visto accadere negli ultimi giorni sia la più incredibile manifestazione di follia cui ci sia capitato di assistere. Come ha giustamente sottolineato Mauro Berruto, ex allenatore della nazionale di pallavolo e fresco di nomina nella segreteria del PD, “tre giorni senza vaccinare significheranno tre giorni in più di pandemia. E tre giorni in più di pandemia, alla media attuale, sono mille morti in più. Mille morti in più, quelli sì, sono l’unica cosa certa”.
Dai familiari e dagli amici a cui ho detto che mi ero vaccinato con Astrazeneca ho ricevuto sottili ironie e comprensibili dubbi. Nonostante mi affrettassi a dire che non c’erano stati problemi, a parte un fastidioso mal di testa e una febbriciattola sparita in mezza giornata con una tachipirina 1000, tutti mi hanno chiamato e richiamato al telefono per avere conferma che fosse andato davvero tutto bene. Li ringrazio per l’attenzione e la premura nei miei confronti ma la mia piccola esperienza è il segno che la scienza ha fatto un miracolo che la cialtroneria e la superficialità dei social, in cui tutti siamo immersi, sta azzerando.
Non sono un medico ma lavoro nel mondo della scuola. Non m’intendo di vaccini ma ogni giorno ho a che fare con l’analfabetismo strutturale. E’ proprio lui che ha costretto la scienza a rallentare e, pur consapevole del declino culturale in atto nel nostro Paese, non riesco a credere ai miei occhi e alle mie orecchie. Ciò a cui abbiamo assistito, infatti, non è la conseguenza della democrazia ma del costante abbassamento dell’asticella della cultura, della formazione, della scolarizzazione. E’ la conseguenza di una forma di narrazione potentissima che si fonda su un fattore esclusivo: la velocità. Ebbene la narrazione, la velocità, il mondo di internet non sono tutto.
Mentre lunedì scorso mi trovavo in un centro vaccinale contro la più grande pandemia degli ultimi cento anni, ho ripensato alla ricchezza che regala la libertà. Libertà di studiare, di viaggiare, di stare con le persone che ami, di affidarti alla scienza e alla medicina. Aspettando che passassero i quindici minuti dopo essere stato vaccinato, ho capito che la democrazia non è pensare a se stessi perché l’egoismo ha generato e genera danni incalcolabili. Sono felice ed orgoglioso, quindi, di aver fatto il vaccino e tutti i cittadini italiani dovrebbero farlo per spazzare via questa crisi di reputazione e questa storia allucinante. Dimostriamo che i numeri sono più forti delle opinioni se vogliamo tornare alla vita di prima.
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