di Ignazio Catauro

 

Si continua a sostenere che l’abbandono delle aree interne da parte nelle nuove generazioni sia dovuto alla sola mancanza di lavoro, in parte possiamo anche condividere una tesi/analisi superficiale, quasi ovvia, che non richiede pertanto un vero approfondimento.

La verità è un’altra, purtroppo, molto più dolorosa e pesante, che rappresenta un fardello decisamente insostenibile e impossibile da tenere su spalle sempre meno resistenti: il vero motivo di questo esodo è causato dalla pessima qualità della vita che caratterizza il Mezzogiorno in generale e le aree interne e marginali nel “particulare”.

Tanto per parafrasare De Crescenzo/Bellavista, la vita non va vissuta in quantità, ma in qualità. Questo è il vero motivo che spinge i nostri giovani a scappare dalle “Terre di mezzo” delle loro origini e accasarsi in luoghi più idonei ad una vita dignitosa. Luoghi ove le raccomandazioni non rappresentano necessariamente la norma, dove i diritti e i doveri vengono percepiti come scontati e non come una straordinaria eccezionalità. E ancora dove i salari e gli stipendi stabiliti per legge non sono violati sull’altare della precarietà. Dove la pubblica amministrazione è ben lieta di “servire” il cittadino, invece di esercitare uno “pseudo” potere di retaggio medioevale. Dove gli amministratori locali guardano al territorio come un luogo da tutelare e amare, invece di considerarlo solo come una gallina da spennare. Senza alcun amore, interesse reale, visione strategica; senza un reale Focus da proporre, né un obiettivo da perseguire. Piccoli “pirati della strada”, incapaci di comprendere la realtà, le opzioni e programmare di conseguenze le cose da fare utili e necessarie.

Una classe dirigente che per la sua scarsa qualità, costringe i giovani a scappare e recidere qualsiasi filo con il proprio passato. Una tragedia storico-sociale ancora più drammatica di quella dei grandi “esodi della povertà” che hanno interessato gli anni Sessanta e Settanta, fatta di poveracci che fuggivano la fame, quella vera, che costringeva i nostri nonni a rompersi la schiena in Germania, Svizzera, Belgio; e poi fare di Milano, Roma, Torino città di marca europea, triplicandone gli abitanti in un solo ventennio.

I dati, le cifre, le statistiche sono implacabili: dal primo gennaio 2014 al primo gennaio 2024 nel Mezzogiorno tra i Comuni in declino, oltre i due terzi sono comuni delle Aree interne, con una perdita di popolazione per queste aree in un solo decennio pari a poco più di 483.000 individui. Evidenziando poi il dato relativo al tasso di crescita naturale della popolazione l’ISTAT ci fa notare che nei comuni periferici si è passati dal 2002 ad oggi da -1,5 a – 6,3 per mille, mentre in quelli ultraperiferici da -2,3 a -7,3 per mille “denotando una situazione nella quale il disequilibrio tra nascite e morti è più accentuato che altrove. Considerando l’intero periodo 2002-2023 il calo è stato del 32,7%”. A questo si deve poi aggiungere il dato che riguarda le Aree interne in rapporto alla presenza della popolazione anziana: “L’indice di vecchiaia, cioè il rapporto tra popolazione ultra-sessantacinquenne e quella fino ai 14 anni di età vede le aree interne del Mezzogiorno decisamente penalizzate rispetto al resto della Penisola, con un indice pari a 214%, quasi doppio rispetto a venti anni fa.

Un ulteriore elemento di fragilità demografica delle nostre Aree interne è costituito dai flussi di popolazione che da queste aree si dirigono verso centri più “attrattivi” o addirittura all’estero. Si calcola che negli ultimi 20 anni i flussi Periferie-Centri ha riguardato oltre 3.000.000 di persone, di queste ben il 46,2%, calcola l’Istituto italiano di statistiche, ha riguardato le aree interne del Mezzogiorno: una percentuale significativa e preponderante, naturalmente, si dirige verso i centri urbani del Nord Italia “a conferma del fatto che la tradizionale traiettoria dal Mezzogiorno verso il Nord continua a essere una delle principali direttrici della mobilità interna che interessa il Paese” (FOCUS – ISTAT – 2024).

Un ulteriore fattore che incide sullo spopolamento delle Aree Interne è costituito dai consistenti flussi di espatri dei cittadini italiani verso l’estero. Che si somma ad un altro elemento di criticità ricavato dai flussi di immigrati stranieri che scelgono di insediarsi nei grandi centri urbani dotati di servizi e dove risiedono altri concittadini appartenenti alla stessa comunità, a dimostrazione che le Aree Interne non risultano neppure attrattive per gli immigrati stranieri.

Con la fine dell’emergenza pandemica, che in qualche modo aveva rallentato l’effetto migratorio, negli ultimi due anni il fenomeno risulta in rapida ripresa principalmente dalle Aree interne. Gli attori principali di questa ripresa che preoccupa non poco, sono i giovani e i giovani adulti di 25-39 anni, che si attestano rispettivamente tra il 45 e il 42 % circa della popolazione interessata.

Ma il vero dramma che caratterizza l’estrema fragilità del tessuto demografico delle Aree interne del Mezzogiorno è dato dalla fuga dei giovani laureati. L’emigrazione permanente di capitale umano altamente qualificato assume un peso socioeconomico di estrema gravità che impatta ancora più negativamente sul tessuto produttivo di aree già fragili come le Aree interne del Mezzogiorno. Si calcola che tra il 2002 e il 2022 si siano spostati da queste aree circa 260.000 giovani laureati che hanno raggiunto i centri attrattivi del Centronord e i paesi esteri di riferimento.

Gli studi che l’ISTAT ci mette a disposizione evidenziano la drammaticità delle reali conseguenze del drastico calo demografico che interessa le Aree Interne del Mezzogiorno; “sulla base delle ipotesi formulate dalle recenti previsioni demografiche, tra 10 anni quasi il 90% dei Comuni delle Aree interne del Mezzogiorno subirà un calo demografico, con quote che raggiungeranno il 92, 6% nei comuni Ultraperiferici”. (FOCUS – ISTAT – 2024)

Questi numeri, nella loro estrema drammaticità, riflettono una situazione complessa e sfidante per l’intero Mezzogiorno e per le sue fragili Aree Interne. Gli effetti di questo esodo demografico nell’immediato riduce la base di manodopera e le potenzialità economiche locali; il calo delle nascite contribuisce ulteriormente al problema demografico, rendendo difficile il rinnovamento della popolazione. Inoltre l’invecchiamento stesso della popolazione determina un aumento delle esigenze di assistenza sanitaria e sociale, mettendo sotto pressione i sevizi pubblici locali. La mancanza di opportunità economiche che si traducono in una scarsità quasi cronica di posti di lavoro adeguati spingono inevitabilmente i giovani a spostarsi altrove. Le infrastrutture carenti e inadeguate, come strade e trasporti pubblici, rendono di fatto difficile l’attrattività delle Aree interne limitandone concretamente il suo sviluppo socio-economico.

Sono queste le sfide che bisogna affrontare nel breve periodo, sfide che richiedono un approccio integrato che includa investimenti in infrastrutture, politiche per incentivare le nascite, creazione di posti di lavoro di qualità e miglioramento dell’accesso all’istruzione e alla formazione professionale.

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