DI MARIO CATALUDDI
Emanuele, piacevolmente sorpreso dalla dialettica dei suoi interlocutori, Jikri il filosofo indiano e
Kong il maestro cinese, tenta di metterli in difficoltà lanciando un postulato:
– La sfrenata ricerca dei piaceri è diventata lo scopo primario della gente.
– Forse. Ma per quale motivo? Lei ne ha un’idea? – Domanda Jikri.
– Non saprei
– Cos’è per lei il piacere?
– Una sensazione di benessere?
– È riduttivo. Si tratta di una reazione chimica neuronale primitiva che condividiamo anche con gli
animali. Siamo tutti dotati di un particolare meccanismo chiamato “circuito della ricompensa”. Ogni
volta che facciamo qualcosa che sia reputata essenziale alla nostra sopravvivenza ed evoluzione,
veniamo premiati da una scarica di dopamina, la molecola implicata nella sensazione del piacere.
Lei prova piacere nel mangiare, Emanuele?
– Sinceramente, non ricordo più tanto cosa sia il piacere di un buon pasto.
– Proverebbe piacere, comunque, nel mangiare ad esempio una buona pizza?
– Certamente
– Ed a bere fino alla sazietà?
– Oh che si. Totalmente d’accordo.
– Stiamo parlando ovviamente di acqua, giusto?
– Ovviamente. – risponde Emanuele con un piccolo colpo di tosse.
– Ed a passare la notte in dolce compagnia?
– Ah, se è per quello, pure il giorno non sarebbe di rifiuto. Tra l’altro, è da un bel po’ di tempo che
non accarezzo più un bel paio di …
– Emanuele, la prego. Non dimentichi che siamo in presenza di un bambino.
– Certo, certo. Mi perdoni.
– Bene. Questi sono alcuni tra gli atti che devono essere riprodotti perché, sotto l’aspetto
antropologico, sono reputati essenziali per la sua sopravvivenza, nonché per quella della sua specie.
Se dimentica di nutrirsi o di bere, morirà di fame o di sete.
– Non fa una piega.
– Se la gente smettesse di praticare attività sessuale, non ci sarebbero più bambini sulla Terra. Si
andrebbe incontro all’estinzione della razza umana. Ma ci sono anche altre azioni che meritano di
ricevere un premio.
– Quali?
-Tutte quelle che l’aiutano a crescere nel corpo e nello spirito, Emanuele. Stringere qualcuno tra le
braccia, sentire il calore umano, fare dei regali, riuscire in una prova, creare qualcosa con le proprie
mani, viaggiare, imparare e così via.
– Ma ci si può recar piacere anche con altri metodi.
– Certamente. Si possono trovare degli stratagemmi per arrecarselo o farlo perdurare. Si può far
ricorso ad esempio a dei prodotti psicoattivi, o addirittura, al semplice uso del pensiero. Ma perché
lo si farebbe?
– Per star bene? Il piacere ha un gran merito.
– Quale, di grazia? – insiste il maestro indiano, che intanto continua a sorseggiare la sua bevanda
calda con la calma di un vero pedagogo.
– Quello di estirpare le sofferenze – risponde prontamente il capitano.
– Le estirpa, lei dice? Oppure impedisce piuttosto di sentirle per una corta durata? Le sofferenze
sono legate a dei problemi, a situazioni estremamente spiacevoli. Non sarebbe forse, allora, il
piacere, un momento di riposo che ci si vorrebbe concedere tra un dolore e l’altro, al fine di
preservare il proprio equilibrio psicologico e passare così alla prossima prova, o evitare totalmente
di confrontarcisi? Tutti vorrebbero vivere un’esistenza senza sofferenza, non è così? Ma i problemi
ci attendono sempre all’uscita. Cosa faremo allora? Li affronteremo o li rinvieremo ad oltranza?
-È per questo che la gente è alla ricerca compulsiva e continua di piacere? Per evitare di affrontare
le difficoltà e rinviare la partita a data futura?
-Forse. Ma la prego di non prendere le mie parole per vangelo. Non sarei mai così arrogante da
credere e vantarmi di detenere il sapere. Stiamo solo riflettendo insieme. Ciò che per me è sicuro,
però, è che le persone fanno spesso confusione tra “piacere” e “felicità”. Il primo è una sensazione
effimera, una richiesta a volte costosa del corpo e della mente, mentre invece la felicità, è il dono
gratuito ed infinito di un’anima serena.
-Mi sta quindi dicendo che se troviamo la felicità, smetteremo di addolorarci?
-Suvvia, non dobbiamo essere così naif. Il dolore fa parte di questo mondo, non lo si può sradicare!
E fortunatamente, perché per quanto faccia male, esso è assolutamente indispensabile!
-Indispensabile lei dice?
-Se lei mette la mano sul fuoco, cosa sentirà?
-Dolore
-E per fortuna, no? Perché se lei non sentisse il dolore, rischierebbe di vedersi ardere totalmente la
mano e di perderla definitivamente! Il dolore la mette quindi subito in allerta su una situazione che
nuoce alla sua integrità. A posteriori, le apporta la possibilità d’imparare una lezione dai suoi errori.
Ora, la felicità si trova laddove il dolore non ha messo le sue radici, ma ha compiuto il suo compito
senza dar vita a sofferenza.
-Non capisco, mi scusi. C’è dolore ma non c’è sofferenza.
Il maestro indiano poggia pacatamente la tazza sul tavolo e guarda un istante al cielo. Poi, si volta di
nuovo verso il capitano e domanda con tono premuroso :«Che sbadato! Mi sono accorto che non le
ho chiesto come sta la sua mano. Ha ancora male?».
Emanuele resta alquanto sorpreso. Sembrerebbe che il suo interlocutore voglia cambiare discorso.
Guarda la mano, la accarezza; ci soffia un po’ sopra.
-In effetti mi duole ancora un po’.
-Sono davvero spiacente per lei. Cosa sente? Bruciore? Ha voglia forse di grattarsi?.
Il capitano non sa se sentirsi preso in giro. Ma continua a rispondere per vedere dove Jikri voglia
arrivare…
-Si, in effetti mi pizzica un po’ adesso.
-La sua pelle è arrossata?
-Esatto.
-E forse presto uscirà una bolla.
-Non saprei, si, probabile. Ma scusi, non capisco perché lei mi stia ponendo tutte queste domande.
Non si preoccupi, sto bene. È solo una piccola ustione!
-Fino a due minuti fa mentre stavamo parlando lei non accusava alcun segno di disagio, ed ecco che
adesso lei sente dolore
-È vero, si.
-Perché a suo avviso?
-Perché prima non ci prestavo attenzione, ma ora mi sono focalizzato sul problema.
-Corretto. Il vostro pensiero ha riacceso il dolore di una ferita che non ha sanato subito. Il dolore
quindi non aveva svolto il suo compito. È rimasto in attesa, pronto a rivenire alla carica. Lo ha
quindi trasformato in sofferenza. Ora lei si accarezza la mano, ci soffia su, ma questo piccolo
piacere non guarirà la sua ferita. Bisognerà intervenire con delle giuste cure e lasciarle il tempo
necessario per cicatrizzare. Ma più aspetta per sanare la ferita e più tempo e cure ci vorranno.
-Quindi bisognerebbe eliminare ogni forma di piacere?
-Non sia così drastico! Per fortuna che esiste il piacere! Lo abbiamo visto che si tratta di una
ricompensa, di un premio e di una pausa terapeutica. Dico solo che quando lo dirottiamo dalla sua
funzione principale, e quando la nostra vita è diretta solo verso la sua ricerca, a mio parere, ciò è
sintomo di una sorta di patologia, e rilevatore di un dolore che abbiamo lasciato installare in noi
stessi. Il piacere potrà forse calmare il dolore, ma non potrà mai estirpare la sofferenza. Solo la
felicità lo può.
-Cosa sarebbe per lei la felicità, allora?
-Non sarebbe, forse, uno stato di amore incondizionato, dove il dolore sia ascoltato, gestito, e la
sofferenza non abbia indi terreno sul quale proliferare? Uno stato dell’anima libera dalle illusorie
frontiere del tempo, passato e futuro, e che grazie all’accettazione, viva esclusivamente nel
presente? Uno stato dove l’essere, è, in tutta la sua libertà e semplice complessità?
-Capisco cosa lei voglia dire. Purtroppo, la ricerca del piacere è diventata quasi un dogma ai giorni
nostri. Per ottenere piacere bisogna comprare, consumare. E per comprare, ci vogliono soldi, molti
soldi. Altrimenti, non si è nessuno, e si sopravvive e si muore da invisibili.
Ribatte Emanuele visibilmente animato dal soggetto di conversazione. Il bambino al suo fianco resta sorpreso dalla dialettica e dalla ricchezza di pensiero del suo accompagnatore. Non se lo aspettava di certo da parte di un cotal relitto.
«Le persone che accumulano e sperperano ricchezze, soffrono allo stesso modo di quelle più
miserabili, e credono, in gran parte, di poter alleviare i propri mali tramite l’accumulo di piaceri che
il denaro può procurargli. Ma come abbiamo considerato, si tratta di una illusione transitoria. È
vero, il denaro non dà la felicità, ma dà il piacere».
Kong riprende la parola : «Mi permetta di rivenire sulla sua fugace critica alla società,
signor Da Ludacati; mi sembra abbastanza pertinente. Vede, uno dei nostri amici, un italiano come
lei, Pierpalini, durante i nostri scambi era solito definire l’attuale edonismo di massa, come il
fenomeno culturale “omologatore” per eccellenza. Molto più violento e totalitario di qualsiasi altro
regime dittatoriale precedente, esso ha la capacità di entrare in fondo alle coscienze degli individui e
cambiarne la loro natura profonda. Ma… »
-Ma?
-Lei dimentica che avrà sempre la libertà di abbracciare le ideologie che più le corrispondono.
Nessuno potrà mai costringerla ad accettarne alcune.
-Forse non in maniera diretta. Il conformismo, lo ha detto, ci omologa, ci depersonalizza.
-Ed è proprio per quello che è sua responsabilità, e quella dell’educazione di coltivare il suo spirito
critico e la sua capacità di discernimento, caro Emanuele ! Si può restare un semplice animale
pensante e agire secondo pulsioni, soddisfare i bassi istinti, seguire il gregge, pensare solo a se
stesso, oppure scegliere di elevarsi verso uno stato di comunione con tutto il Creato, e vivere tra gli
dei. Personalmente, credo che il lavoro di tutta una vita consista nel diventare una persona
coraggiosa, che sappia comprendere la fragilità umana, accettarla, ed avanzare per trascenderla,
oltrepassarla.
-Non è un segno di salute mentale essere ben adattati ad una società profondamente malata, non
crede, signor Da Ludacati?
Chiede il maestro indiano con la calma e la postura degni di un uomo dotato di un grande self control. Altrettanto rapidamente, sorseggiando il suo te, torna a fare un passo indietro per lasciar nuovamente la parola al suo omologo cinese.
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