INDAGINE TRA I PRINCIPALI ISTITUTI DI CREDITO DEL PAESE RELATIVA AL DECRETO LIQUIDITÀ VARATO AD APRILE DAL GOVERNO: PROBLEMI E TEMPI LUNGHI CON LE DELIBERE SUGLI AFFIDAMENTI. DOPO OTTO MESI, EROGATO SOLO IL 30% DEL TOTALE DELLA LIQUIDITÀ COPERTA DALLE GARANZIE PUBBLICHE OVVERO 120 MILIARDI SUL TOTALE DI 400 MILIARDI. GATTI: «COSÌ L’ITALIA NON RIPARTE»
Addossano la colpa, genericamente, al settore economico «in difficoltà» a causa degli effetti del Covid. Chiedono di “pazientare” fino a due mesi extra prima di erogare il denaro ai clienti. Non si fidano di previsioni troppo ottimistiche da parte delle imprese, in assenza di precedenti affidamenti bancari. Sono alcuni casi di “intoppi” e “trappole” sui prestiti garantiti dallo Stato che emergono da una indagine di Unimpresa, condotta nelle scorse settimane tra le principali banche italiane, secondo la quale l’erogazione dei finanziamenti coperti dal “paracadute” pubblico, a distanza di otto mesi dall’approvazione del decreto liquidità, procede a rilento e col contagocce. Rispetto ai 400 miliardi di euro sostenuti dalle garanzie introdotte col provvedimento d’urgenza varato ad aprile, sono stati erogati solo 120 miliardi di prestiti ovvero il 30% dell’ammontare totale auspicato dal governo. «È impossibile pensare di dare un chiaro sostegno al Paese e al suo rilancio: risulta quindi difficile pensare di far ripartire l’Italia se le banche fanno orecchie da mercante rispetto agli annunci del governo» commenta il presidente di Unimpresa Lombardia, Isa Gatti.
Sono tre le situazioni maggiormente rappresentative della complessa situazione emerse dall’indagine realizzata dagli esperti di Unimpresa: sono le procedure relative alle delibere sugli affidamenti a creare i principali problemi e ad allungare i tempi, nonostante la garanzia statale: per i prestiti fino a 25-30.000 euro (assistiti dalla garanzia del Mediocredito Centrale) l’attesa per l’erogazione è di almeno sette giorni, molto di più rispetto alle 24-48 ore “promesse” dal governo. Quanto agli importi, finora sono stati erogati, complessivamente, 120 miliardi di euro, cifra assai distante dai 400 miliardi che sono virtualmente coperti dalla garanzia dello Stato e che avrebbero dovuto sostenere le partite Iva, i commercianti, gli artigiani, i professionisti, le piccole e medie imprese, le grandi aziende.
Ecco la casistica dettagliata di intoppi e trappole rilevata da Unimpresa: in una prima circostanza, nel declinare una richiesta di 30.000 euro per un ristorante è stato sottolineato come «il settore sia veramente in difficoltà e sia impossibile sapere se e quando si riprenderà». In un secondo caso, su una richiesta di denaro presentata a giugno con delibera a settembre, la banca aveva fatto sapere di esser pronta a erogare il prestito a novembre, ma ha chiesto al cliente di poter aspettare il due gennaio per chiudere l’operazione, con evidenti, seppur taciute, per esigenze di budget della stessa banca. Il terzo episodio analizzato riguarda un’operazione di credito co-finanziato da una regione: l’istanza è stata rigettata perché – questa la motivazione dell’istituto di credito – i dati prospettici del cliente, ovvero un’azienda in espansione, sarebbero risultati troppo ottimistici, considerando la crisi e l’assenza di fidi “a sistema”; da segnalare che l’azienda è stata aggiudicata poco affidabile a causa della rilevante disponibilità sui propri conti correnti. «Un quadro, quello italiano, assai diverso se confrontato su scala internazionale: in Svizzera e Gran Bretagna, per esempio, le domande di finanziamento garantito dallo Stato, anche per importi rilevanti, venivano deliberate quasi automaticamente nell’arco di 72 ore» aggiunge il presidente di Unimpresa Lombardia.
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