di Ignazio Catauro

 

l pensiero di Locke si inscrive all’interno di una cornice teologico-politica di matrice cristiana – sebbene profondamente anti-cattolica – la quale riconosce alla ragione il ruolo principale dell’essenza della persona umana tramite cui l’uomo può conoscere e comprendere il creato.

L’elaborazione filosofico-politica e filosofico-giuridica di John Locke poggia le sua fondamenta nel riconoscimento della obbligatorietà del diritto naturale, della sua esistenza e della sua conoscibilità, lo stesso Norberto Bobbio scriveva:

… il nucleo del pensiero politico di Locke sta tutto in questa affermazione: la forza del governo consiste esclusivamente nel fare rispettare le leggi positive della società stabilite in conformità delle leggi di natura. Il principio e il fine del buon governo risiedono dunque nel rispetto delle leggi naturali. Di conseguenza, il fine ultimo della filosofia politica è di scoprire l’essenza delle leggi naturali, e sulla base di queste leggi stabilire le condizioni e i limiti del potere politico.

Nei “Saggi sulla legge naturale”, Locke evidenzia che il diritto di natura è il frutto della ragione naturale che appartiene a tutti gli uomini, sottolineando che:

… per ragione non credo si debba intendere qui quella facoltà dell’intelletto di elaborare discorsi e dedurre argomentazioni, bensì alcuni principi pratici sicuri, dai quali scaturisce originariamente l’insieme delle virtù e tutto quanto è necessario alla buona formazione della morale: ciò che da questi principi rettamente si deduce, può esser detto a buon diritto conforme alla retta ragione.

Ecco dunque che la legge di natura, è conoscibile da dall’uomo, ma è anche necessaria in quanto senza di essa:

… non vi sarebbe né virtù né vizio, né merito per l’onestà né castigo per la malvagità: non esiste colpa, né reato ove non esiste legge.

Eppure Locke ci avverte che non tutti gli uomini riescono a conoscerla poiché:

… gli uomini, in quanto sono influenzati dai loro interessi e la ignorano per mancanza di studio, tendono a non riconoscerla come una legge che li obblighi ad applicarla ai loro casi particolari.

Collocata la legge naturale quale fondamento di ogni azione giuridica e politica, Locke ne fa scaturire l’esistenza giuridica dei tre principali diritti naturali: PROPRIETÀ, LIBERTÀ E VITA.

Il primo diritto naturale per Locke, è il diritto alla PROPRIETÀ, che rappresenta un punto di tale importanza da farne il carattere portante della complessiva costruzione teorica di Locke:

… la stessa legge di natura che ci conferisce con quel mezzo la proprietà, ce la limita anche. Dio ci ha dato abbondantemente ogni cosa: questa è la voce della ragione confermata dalla rivelazione […]. Di quanto si può prima che vada perduto far uso a vantaggio della propria vita, di quanto si può con il proprio lavoro istituire la proprietà: tutto ciò che oltrepassa questo limite eccede la parte di ciascuno e spetta ad altri… è un diritto che ogni individuo porta alla società nella sua propria persona …. La società non crea quindi il diritto.

Esclusivamente il diritto di proprietà, il suo riconoscimento e la sua tutela offrono le condizioni per la effettiva garanzia della libertà, libertà che è originaria nella natura dell’uomo, ma che le istituzioni civili e lo Stato devono tutelare e rispettare:

… né un potere assoluto e arbitrario, né un governo privo di leggi fisse e stabilite possono conciliarsi con i fini della società e del governo, e gli uomini non avrebbero rinunciato alla libertà dello stato di natura, né si sarebbero sottoposti al governo, se non per conservare la propria vita, libertà e fortuna e garantire la propria pace e tranquillità con norme dichiarate sul diritto e la proprietà.

In sintesi, per Locke lo spazio di libertà viene garantito dal diritto in genere e dal diritto di proprietà in particolare, entrambi svolgono la funzione di limitare l’esercizio del potere statale, un potere che solo se rispetta il diritto naturale può considerarsi realmente giusto e riconoscibile.

Su tutto ciò si fonda la necessità giuridica (e politica) della tutela del diritto alla vita, diritto imprescindibile dalla base giusnaturalistica della comunità civile e del tutto indisponibile per gli altri e perfino per lo stesso titolare. Per Locke, difatti, sebbene la comunità civile:

… sia uno stato di libertà, tuttavia non è uno stato di licenza; sebbene in questo stato si abbia la libertà incontrollabile di disporre della propria persona e dei propri averi tuttavia non si ha la libertà di distruggere se stessi né qualsiasi creatura in proprio possesso.

Al fine di ottenere la massima protezione dei diritti naturali fondamentali, cioè la proprietà, la libertà e la vita, Locke ritiene che si debba passare dallo stato di natura allo stato civile, ricorrendo allo strumento giuridico del contratto. Anche se di gran lunga differente dall’altro contratto sociale di riferimento, cioè quelli elaborato da Thomas Hobbes.

È Guido Fassò ha precisare che “lo Stato lockiano nasce … non tanto dal pactum subiectionis quanto dalla concessione di una fiducia da parte del popolo ai governanti”. Insomma, per Locke, lo Stato non elimina la libertà né se ne impossessa, ma la protegge al fine di assumere il ruolo di giusto. Dall’altro, per converso, la libertà non coincide con l’anarchia o il capriccio individuale, essendo essa organizzata nella struttura della società civile.

Proprio per questo, i governanti non possono mai godere di un potere assoluto, perché vi è una inscindibile relazione tra la libertà e la comunità.

… Il potere deve necessariamente essere esercitato nei limiti del diritto nella sua duplice accezione sia di statuizione dell’esecutivo e del legislativo, sia soprattutto di espressione della inderogabile legge naturale. Ecco perché lo stesso Locke scrive che la tirannide è l’esercizio del potere oltre il diritto.

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