di Ignazio Catauro

La costruzione di un nuovo modello di riferimento più attento alla capacità di assicurare risposte estese ai bisogni delle persone, richiede un profondo processo di innovazione sociale. L’ipotesi è che l’agricoltura sia al centro di una visione capace di suscitare interesse collettivo e alleanze inedite, tra soggetti d’impresa, cittadinanza attiva, istituzioni pubbliche, terzo settore, fino alla costruzione di nuove forme di economia civile.

L’innovazione in questi casi non sta nella generazione di nuove tecniche quanto, piuttosto, nella capacità di avviare un nuovo modello di gestione collettiva delle risorse disponibili. Al centro di questa ipotesi d’innovazione sociale ci sono alcuni concetti quali economia civile, co-produzione, sussidiarietà, cittadinanza ecologica, che si traducono nelle soluzioni proprie dell’agricoltura civile: i mercati di filiera corta, i Gruppi di acquisto solidale, la Community supported agriculture, le pratiche di agricoltura sociale, la pianificazione urbana del cibo, l’uso integrato delle politiche pubbliche.

Guardare all’agricoltura con gli occhi “del bene comune implica la necessità di definire concetti operativi capaci di interpretare e comprendere i nuovi modelli di imprese, le nuove pratiche di consumo e le nuove forme di governante” (Di Iacovo, Fonte, Galasso).

L’elemento comune ai nuovi modelli è basato sulla collaborazione fra una pluralità di attori sociali, che, pur diversi tra loro, agiscono collettivamente per trovare e fornire risposte utili ai nuovi bisogni emergenti dalle crisi economiche, ambientali e sociali.

Dal lato della produzione si dovrebbe delineare un’agricoltura che, accanto alle indicazioni fornite dai mercati, trae dall’analisi dei bisogni della collettività i presupposti utili per orientare le proprie scelte e le proprie offerte. Aspetti che trovano la naturale declinazione nel concetto di “agricoltura civica/sociale”, un’agricoltura che oltre a produrre alimenti, si fa anche carico di affrontare i problemi della comunità e dell’ambiente.

Il termine “agricoltura civica” fu usato per la prima volta negli Usa nel 1999 durante il congresso annuale della Rural Sociological Society. Identifica un insieme d’imprese agricole e alimentari, molto diversificato, fortemente integrato con le comunità e i sistemi agro-ecologici locali.

Nel riaffermare la logica della specializzazione propria dell’economia industriale moderna, la teoria economica neoclassica ha definito in modo netto la separazione tra le sfere di vita della persona: “il consumatore fa scelte di acquisto ottimizzanti la propria utilità individuale, senza dialogare con il se stesso ‘cittadino’, portatore di diritti e di doveri verso lo Stato e la Comunità” (Di Iacovo).

L’agricoltura civica/sociale, al contrario, presuppone una chiara ricostituzione del legame tra economia e società, legandosi in modo indelebile ai concetti di “democrazia alimentare” (Tim Lang), “cittadinanza alimentare” (Wilkins)  e “cittadinanza ecologica” (Seyfang, Dobson, Bell).

L’espressione Agricoltura civica/sociale conferisce forma e legittimità a un insieme di relazioni socio-economiche nuove in linea con l’idea di agricoltura come bene comune. Dal punto di vista “filosofico”, sottolinea le contraddizioni interne all’attuale modello agricolo industriale evidenziando le potenzialità della “rilocalizzazione” dei sistemi alimentari. Lo stesso lavoro che da tempo si svolge sull’agricoltura locale e sulla filiera corta, ripensando l’intero rapporto fra produttore e consumatore ha promosso molte attività economiche su base regionale/locale, i cui obiettivi primari sono migliorare il reddito degli agricoltori (soprattutto dei piccoli agricoltori) e rivitalizzare le comunità e le economie rurali.

“L’esigenza di integrare le preoccupazioni per la qualità degli alimenti con quelle ambientali ed etiche spinge a immaginare forme nuove di coordinamento e controllo del sistema di produzione e approvvigionamento alimentare basate su principi innovativi e sulle relazioni dirette fra produttori e consumatori. L’agricoltura civica esprime dunque anche un rinnovato interesse dei cittadini nella definizione delle regole, nella gestione e nel controllo dei sistemi agro-alimentari, come base di una nuova economia civile” (Di Iacovo, Fonte, Galasso).

Un primo importante risultato è stato una maggiore diffusione e consapevolezza del ruolo e delle funzioni dell’agricoltura nella società, una maggiore disponibilità di cibi “buoni”, di prodotti alimentari con un maggiore valore aggiunto (cibi biologici, prodotti provenienti da allevamenti estensivi o al pascolo, antiche varietà di frutta, ecc.), e un più stretto “legame” fra produzione e consumo. Di fondamentale importanza è la valorizzazione che l’agricoltura civica/sociale riconosce al ruolo delle piccole imprese agricole nelle aree rurali dal punto di vista sociale e ambientale.

L’Agricoltura civica/sociale si propone di andare oltre i rapporti economici tradizionali ed esplorare più da vicino il ruolo che l’agricoltura può svolgere per le stesse persone, per i luoghi e i loro bisogni. Naturalmente non si tratta di sostituire la “logica del civismo” alla logica di mercato, né l’interesse collettivo all’interesse privato; piuttosto promuovere un percorso di riavvicinamento e integrazione, fare in modo che i primi siano sviluppati ed esercitati contemporaneamente ai secondi, per evitare che anche nelle esperienze più virtuose di agricoltura locale e di filiera corta si ripetano e si manifestino le contraddizioni che caratterizzano l’agricoltura convenzionale: “asimmetria di potere, sfruttamento del lavoro, depauperamento delle risorse naturali, produzione di cibi di scarsa qualità” (Di Iacovo, Segrè).

Le diverse forme di “reti alternative civiche” – Community supported agriculture, Farmers’ markets, Gruppi di acquisto solidale – esprimono tutte queste medesime esigenze: promuovere pratiche agricole a ridotto impatto ambientale, favorire alimenti locali e stagionali evitando il consumo inutile di energia fossile e le emissioni derivanti dal trasporto, offrire remunerazioni eque agli agricoltori e ai lavoratori coinvolti nelle diverse fasi della catena di offerta, offrire la possibilità di accedere ad alimenti di qualità a tutti i cittadini e non solo a quelli a reddito elevato (chiara istanza di democrazia alimentare).

Tra le varie forme di filiera corta, i GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALE (GAS) rappresentano l’espressione più innovativa di consumo critico e di cittadinanza alimentare ed ecologica, contribuendo in modo radicale all’affermazione dell’agricoltura civica. “Queste nuove reti alimentari si caratterizzano innanzitutto come un’iniziativa collettiva dei cittadini-consumatori, principalmente urbani, tesa a coinvolgere in un rapporto diretto e stabile i piccoli e medi produttori biologici e locali nella creazione di un sistema alternativo di approvvigionamento alimentare, coerente con le motivazioni etiche e sociali che hanno originariamente spinto all’azione” (Brunori, Schermer, Fonte, Salvioni). A livello nazionale i GAS si rappresentano come un movimento di consumo critico che mira a costruire le basi di un’economia etica, partendo dal comportamento di acquisto dei beni.

Negli anni più recenti, accanto all’aumento della preferenza dei consumatori per prodotti locali e biologici, per varietà e razze autoctone, si assiste all’aumento della vendita diretta da parte di aziende medio-piccole, in forme diverse, più o meno innovative: punti vendita aziendali ed extra, mercati, gruppi di acquisto, consegne a domicilio, vendite on line, distributori automatici, raccolta diretta in azienda, adozioni di animali per il consumo successivo da parte delle famiglie. Parallelamente assistiamo alla diffusione di formule innovative di collegamento fra produzione e consumo, che promuovono un coinvolgimento attivo e relazioni durevoli e continuative tra produttori e cittadini, associazioni, comunità locali e l’organizzazione di sistemi di produzione e distribuzione coerenti con le risorse locali.

Fra le esperienze più diffuse di vendita diretta, tuttora in evoluzione, vi sono quelle dei mercati degli agricoltori.

I mercati degli agricoltori o mercati agricoli, rientrano fra le esperienze di Agricoltura civica e sociale, per il ruolo attivo del cittadino nel rapporto con i produttori locali, un rapporto fatto anche di fiducia, di confronto e scambio di informazioni, capace, col tempo, di indirizzare da un lato le scelte del consumatore verso prodotti più freschi e stagionali, dall’altro il produttore verso le richieste di un consumatore sempre più informato e consapevole.

Dal punto di vista normativo, i mercati degli agricoltori sono regolamentati dal Decreto legislativo n.228 del 2001 che nell’art. 1 ridefinisce l’imprenditore agricolo, introducendo l’esercizio delle attività connesse a quelle dirette alla coltivazione e allevamento, e nell’art. 4 prevede la vendita diretta di tutti i propri prodotti sia in azienda che fuori dall’azienda da parte dell’agricoltore, l’obiettivo è quello di promuoverne lo sviluppo. La norma demanda l’istituzione dei mercati ai Comuni e, in effetti, ha contribuito a sviluppare l’interesse verso tali iniziative da parte di molte altre associazioni, anche quelle più grandi e consolidate del mondo agricolo e biologico, e da parte delle amministrazioni pubbliche.

Tra le pratiche di agricoltura civica, le iniziative di agricoltura sociale rappresentano la forma più chiara di come si organizzi un’economia per progetto basata su sussidiarietà, coproduzione e forme di economia civile. “L’espressione Agricoltura sociale si riferisce a quell’insieme di attività che impiegano le risorse dell’agricoltura e della zootecnica e favoriscono la presenza nelle aziende di piccoli gruppi, famigliari e non, che operano per promuovere azioni terapeutiche, di riabilitazione, di co-terapia, di inclusione sociale e lavorativa, di educazione, di ricreazione e di servizi utili per la vita quotidiana” (Di Iacovo e O’Connor).

L’Agricoltura sociale rappresenta quindi una forma di multifunzionalità, che lega la produzione di beni agricoli all’offerta di servizi alla persona nelle aree rurali e nelle aree periurbane tramite:

  • riabilitazione/cura: per persone con disabilità (fisica, psichica/mentale, sociale) con fini socio-terapeutici;
  • formazione e inserimento lavorativo: per rafforzare capacità e occupabilità di persone a bassa contrattualità;
  • ricreazione e qualità della vita: servizi per giovani, adulti, anziani, con bisogni (più o meno) speciali, a sostegno della quotidianità e dell’invecchiamento attivo;
  • educazione: per ampliare le forme ed i contenuti dell’apprendimento per avvicinare alle tematiche ambientali persone giovani e meno giovani; esperienze rivolte a minori con difficoltà nell’apprendimento e/o in condizioni di disagio, a rischio di esclusione nei percorsi scolastici ordinari con la definizione di azioni di educazione parallele e concordati; possono essere legate a casi di affidi familiari, a rapporti con istituti scolastici o di giustizia minorile, all’inclusione di minori migranti, a ragazzi con difficoltà di concentrazione o iper-cinetici, ma anche ad adulti in momenti particolari della loro vita.

Elemento innovativo dell’Agricoltura sociale è quello di legare la produzione di cibo – che implica gestione e contatto con i cicli biologici, vegetali e animali – con l’erogazione di servizi a persone e comunità. Si tratta di servizi innovativi, anche per la flessibilità e l’adattabilità a un’ampia gamma di bisogni e utenti. Essa vede la partecipazione delle imprese profit alla produzione di beni collettivi e di comunità, contribuendo alla diffusione di attitudini d’impresa basate su responsabilità e partecipazione alla vita e ai bisogni di comunità e, di converso, alla costruzione di nuovi mercati dove impresa e consumatori si confrontano su temi quali etica, fiducia, partecipazione e reputazione.

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