PER LA SELEZIONE DEI CANDIDATI FINALISTI ALL’EDIZIONE 2022, SONO GIUNTE ALLA FONDAZIONE PREMIO NAPOLI OLTRE 150 OPERE LETTERARIE, INVIATE DALLE CASE EDITRICI. AL TERMINE DI UNA LUNGA SELEZIONE LA GIURIA TECNICA, COME OGNI ANNO, NE SCEGLIE NOVE, TRE PER CIASCUNA CATEGORIA: NARRATIVA, POESIA E SAGGISTICA.

A differenza di altri premi letterari italiani, il Premio Napoli ha una particolarità un folto nucleo di “giudici lettori”. Appassionati di letteratura che chiedono di partecipare, di leggere e giudicare le opere in concorso. Provengono da tutto il Paese, dalla città di Napoli, dalla provincia, dalle scuole, dalle periferie e perfino dalle carceri.

I “giudici lettori” hanno il privilegio di potere leggere opere bellissime e offrire un proprio punto di vista con un voto. Negli anni sono andati sempre crescendo fino ad essere quasi 2 mila.

La fase finale del Premio Napoli si svolge in autunno quando gli autori delle tre sezioni incontrano i lettori e il pubblico prima della serata finale e della proclamazione del vincitore.

Questa edizione del Premio Napoli è dedicata allo scrittore Raffaele La Capria, recentemente scomparso.

“Questa edizione del Premio Napoli sarà particolarmente significativa – commenta il sindaco di Napoli e presidente della Fondazione Premio Napoli, Gaetano Manfredi –. Cadrà in un periodo storico in cui la cultura rappresenta ancora più che in passato la leva per la crescita sociale in primis tra le giovani generazioni; ricorderà con un doveroso omaggio la memoria di uno straordinario scrittore della nostra terra come Raffaele La Capria; valorizzerà il rapporto con i lettori che sono giudici delle opere in concorso confermando la peculiarità del Premio Napoli nel panorama letterario nazionale”.

NARRATIVA

Titti Marrone, Se solo il mio cuore fosse pietra, Feltrinelli

Fabio Stassi, Mastro Geppetto, Sellerio

Massimo Zamboni, La trionferà, Einaudi

POESIA

Silvia Bre, Le campane, Einaudi

Gabriele Frasca, Lettere a Valentinov, Luca Sossella Editore

Valerio Magrelli, Exfanzia, Einaudi

SAGGISTICA

Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, Einaudi

Massimo Fusillo, Eroi dell’amore, Il Mulino

Enzo Traverso, Rivoluzione 1789-1989, Feltrinelli

Menzione speciale per il reportage di Salvatore Porcaro, L’estate è finita. Racconto corale del litorale domizio, Monitor Edizioni. La Fondazione si augura di aprire a partire dalla prossima edizione una sezione del Premio Napoli sui reportage narrativi.

I nove finalisti sono stati selezionati dalla Giuria Tecnica del Premio Napoli, guidata da Alfredo Contieri e Carmen Petillo, e composta da Mirella Armiero, Stefano Balassone, Maurizio Braucci, Edoardo Camurri, Valerio Caprara, Antonella Cilento, Chiara Ghidini, Antonio Gnoli, Alfredo Guardiano, Eugenio Lucrezi, Wanda Marasco, Bruno Moroncini, Ermanno Paccagnini, Matteo Palumbo, Giacomo Raccis, Monica Ruocco, Pasquale Sabbatino, Antonio Tricomi, Paola Villani. Con l’edizione 2022 si conclude l’esperienza di questa Giuria Tecnica che ha accompagnato sapientemente il Premio Napoli nella missione di diffondere la cultura e la Fondazione intende ringraziare tutti i giurati per il lavoro svolto in questi anni.

La Fondazione ringrazia inoltre l’avv. Domenico Ciruzzi per il lavoro svolto negli anni del suo  mandato da Presidente del Premio Napoli e per avere rilanciato la Fondazione come punto di riferimento del dibattito culturale e sociale della città.

 

LE OPERE

Titti Marrone, Se solo il mio cuore fosse pietra, Feltrinelli

Nel 1945 la villa di campagna di sir Benjamin Drage diventa una residenza per i piccoli reduci dai campi di sterminio, venticinque bambini tra i quattro e i quindici anni accolti e accuditi grazie all’iniziativa e alla determinazione di Anna Freud, figlia del grande Sigmund, e di Alice Goldberger, sua collaboratrice. Ciascun bambino ha una storia diversa, terribile e speciale, ciascuno viene da un proprio personale inferno. Alice e la sua équipe lottano per restituire loro un’infanzia, dando vita per oltre un decennio a un centro dove le più recenti acquisizioni della psicologia infantile, della pedagogia e dell’arte vengono messe al servizio delle necessità dei bambini provenienti da lager, orfanotrofi e conventi o dai nascondigli dove i genitori li hanno lasciati durante la guerra, nell’estremo tentativo di salvar loro la vita. Titti Marrone scava nella Storia, apre gli archivi, incrocia documenti, foto, diari e lettere per trasporre in un romanzo la coraggiosa e commovente esperienza di Lingfield. La sua penna segue con delicata partecipazione l’incontro con l’infanzia di ciascun bambino, l’affiorare di traumi e ricordi dolorosi, il progressivo sciogliersi dei nodi più stretti. Fino all’inizio delle loro seconde vite.

Fabio Stassi, Mastro geppetto, Sellerio

Un padre alla ricerca del figlio. Un falegname e il suo burattino. Se le avventure di Geppetto, il creatore di Pinocchio, fossero del tutto diverse da come le conosciamo? Se accanto alle peripezie del burattino che si è fatto bambino vi fossero anche quelle di un padre che tanto ha voluto un figliolo da costruirselo con le proprie mani? Fabio Stassi ha scritto una storia nuova a partire da una storia classica, quella di uno dei più grandi romanzi della letteratura italiana. Nelle sue pagine l’anziano falegname diviene un uomo febbrile animato dal desiderio della paternità, vittima di uno scherzo crudele dei suoi concittadini. Le gesta del burattino, buffe, drammatiche, violente, si mischiano alle sue avventure, a loro volta sorprendenti e a tratti sconcertanti. L’uomo Geppetto sembra uscire dalla fiaba per grandi e piccini di Collodi e spostarsi su un palcoscenico contemporaneo dove la povertà, la malattia, il bisogno di amore, la crudeltà e il riscatto sono al centro della scena, motore concreto dell’azione. Così Geppetto diventa il ritratto di un uomo introverso e temerario, candido e visionario, che si accinge ad affrontare il mondo e a scoprirlo di nuovo, inseguendo il sogno di una creatura che sia carne della sua carne, in cui riversare le emozioni e l’affetto che porta dentro. Ma quel mondo lo disprezza e lo deride, rivelando tutta la sua ferocia in una condanna impietosa della solitudine e della diversità. In Mastro Geppetto Stassi si abbandona con evidente piacere a uno dei suoi grandi talenti, quello di plasmare la materia reale e immaginaria delle storie e dei personaggi per trarne un racconto che affonda le radici nel desiderio e nella fantasia, producendo la metamorfosi che trasforma la finzione dell’arte letteraria nella verità più luminosa e commovente, più dolorosa e umana.

Massimo Zamboni, La trionferà, Einaudi

Attraverso la storia incredibile di una terra dove la fedeltà al Partito Comunista era sacra e il vento dalla Russia soffiava forte, Massimo Zamboni fa i conti con la grande utopia del Novecento in modo davvero originale: al centro di questo appassionato racconto corale, ci sono l’Emilia e la cittadina di Cavriago, e le peripezie dei suoi abitanti. Quando nel 1919 spedirono un telegramma di solidarietà alla Russia rivoluzionaria e qualche mese dopo, nel giorno della fondazione dell’Internazionale comunista, Lenin nel suo discorso lodò il coraggio di «quell’angolino sperduto», che aveva cercato invano sulla carta geografica. O quando parteciparono alla «conferenza del secolo» al teatro di Reggio Emilia: un dibattito sull’opportunità di concedere l’autorizzazione alle riprese del film su Peppone e don Camillo. O quando, nel 1970, inaugurarono con «un brivido di commozione» il busto di Lenin nella piazza del paese, davanti a una delegazione ufficiale del Pcus. Per poi saltare fuori dai loro letti caldi a montare la guardia al monumento di bronzo minacciato da qualche tentativo di decapitazione. Sognatori e realisti, gente con la testa dura e un senso fortissimo di fratellanza, i protagonisti di questa storia sono donne e uomini dall’inesausta passione politica, cittadini del grande mondo, nelle cui vicende c’è tutta la forza e la persistenza, infine la nostalgia, di quello slancio ideale, folle e meraviglioso che li faceva sentire di essere dalla parte giusta. Con «una dose di commozione, una di sarcasmo, una di pratico ed emiliano senso di disincanto», Massimo Zamboni ha spesso scritto e cantato la dissoluzione di quel tempo, ma qui ce lo spalanca di fronte agli occhi intatto e pieno di vita, di rabbia e struggimento, regalandoci l’epica di una memoria da cui ripartire, l’epica di una terra dove la bandiera rossa sventolava più in alto di tutti.

Silvia Brè, Le campane, Einaudi

Nella vita siamo attirati da distanze che ci chiamano, che non vediamo e non conosciamo, come da un suono di campane lontane. È un suono remoto, misterioso, un battito originario, nei cui rintocchi la parola poetica nasce e ritorna, ogni volta, per dissolversi. Nelle campane Silvia Bre cerca di cogliere ritmi che scorrono sotterranei alla vita ma che della vita, non solo individuale, sono la linfa nascosta. A volte è necessario un salto mortale, della percezione e della grammatica. Ma più spesso questa lingua poetica si affina per concentrazione, per elisione, per cancellazione di tutto ciò che è superfluo, nella tensione verso l’origine delle cose, nell’attenzione per i nessi che le legano, per l’attimo di senso quando si dilata e sembra eterno. Le campane non possono non avere anche un aspetto mortuario, commemorativo. E infatti, verso la fine della raccolta, le note assumono un tono quasi cimiteriale e il lessico si infoltisce di «polvere», di «scheletri», di «tenebre». Come se la vibrazione delle campane precedesse e oltrepassasse il rintocco della vita, e rivelasse infine un mistero siderale, l’annuncio di una «lingua celeste dello sparire».

Gabriele Frasca, Lettere a Valentinov, Luca Sossella

Le Lettere a Valentinov nascono intorno a un’interrogazione: com’è accaduto che un secolo iniziato con l’inerzia progressiva delle rivoluzioni sia culminato nella restaurazione di una società ferocemente iniqua e diseguale? E che ruolo hanno in questo scivolamento le pandemie? Gabriele Frasca risponde indagando non poche “rime della storia”, e fra tutte quella che lega l’epidemia di spagnola di un secolo fa, arrivata a falcidiare l’Europa e il pianeta insieme alla prima guerra mondiale, a quella in corso. Mettendo a risuonare l’offensiva di primavera e un articolo di Pasolini del 1974, le purghe staliniste e la corsa allo spazio, i fatti del 1977 e una zarzuela di José Serrano Simeón, un sogno inquieto di Trockij e l’incubo prossimo al risveglio di Philip K. Dick, Frasca descrive un mondo che era già in quarantena prima che ce ne accorgessimo.

Valerio Magrelli, Exfanzia, Einaudi

Valerio Magrelli ha affrontato a più riprese, in poesia e in prosa, il tema dell’infanzia, anche attraverso pagine autobiografiche. Questo è il suo libro della maturità, ma l’infanzia e l’adolescenza non scompaiono del tutto: vengono viste come in uno specchio. Immagini rovesciate da interpretare da un altro punto di vista e con altre prospettive. La figura di Pollicino, che torna anche in un poemetto successivo, rimanda all’immaginario più tipico del mondo infantile, alla paura di perdersi, ma il perdersi, in un’altra poesia, viene confessata come caratteristica di tutta una vita: sbagliare la strada in un viaggio, confondere una città con un’altra. Confusione geografica, confusione onomastica. Condizioni di smarrimento che hanno sempre costituito punti di forza euristica nella poesia di Magrelli. I residui di infanzia hanno conformato un’intera esistenza ma ora, alle soglie della vecchiaia, prendono tutto un altro aspetto. Sono e non sono più quello che erano. L’infanzia diventa oggetto di sguardo, più che di autoanalisi. È la tenerezza nei confronti dei figli o dei ragazzi graffitari. Il punto di vista è ora la vecchiaia («questione di idraulica»), l’«ultima cima» da salire che si avvicina. Ma il fascino di questo libro è che l’«ex» ribalta ma non cancella l’«in». Tutto si tiene insieme. Così come insieme al tema generazionale scorrono altri temi, più laterali in questo libro rispetto ai libri precedenti, ma non meno importanti: la malattia, il «sangue amaro», la musica, la cultura pop. Sempre con quella capacità che è tipica di Magrelli di partire da una scena o da una constatazione e trasformarle in un percorso mentale inatteso, illuminante o, spesso, inquietante.

Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, Einaudi

Per molti secoli sono state ritenute interessanti solo le opere e i libri degli uomini, mentre le donne sono state addestrate a non avere talento. Sono state silenziate, dimenticate, messe fuori. La soluzione ora è ricostruire l’intero campo su cui si gioca la partita della cultura. La tesi di fondo di questo libro è: come smettere di considerare il mondo solo in termini maschili. Uscire da questa “naturalezza” e da questa “normalità” pregiudiziali non è un obiettivo polemico, ma un’opportunità critica di crescita e di confronto, anche interculturale. Per smettere di considerare il mondo e la cultura solo in termini maschili non si tratta di guardare il paesaggio culturale del Novecento, per esempio, aggiungendo anche le donne, né di ripetere la logica dell’harem, dell’aiuola, o del club per soli uomini. Bensì di far contare la presenza e l’importanza delle donne, anche quando sono state ammutolite o oscurate.

Massimo Fusillo, Eroi dell’amore, Il Mulino

Legata tradizionalmente alla sfera pubblica, la figura dell’eroe incarna i valori in cui si identifica una comunità. Chi sono dunque gli eroi dell’amore, l’esperienza privata per eccellenza? Che cos’è l’amore eroico nell’immaginario di tutte le epoche? È l’amore della coppia chiusa e fedele di Romeo e Giulietta (ma anche di Diabolik ed Eva Kant!), un microcosmo che vince lo spazio e il tempo e ha come unico ostacolo la morte. È l’amore non corrisposto di Fedra e di Madama Butterfly, una malattia indicibile, fisica e mentale, che sfocia spesso nella follia autodistruttiva. O, all’opposto, è l’amore libero e sovversivo di Don Giovanni e di Carmen, che si dà come seduzione, bellezza inebriante e sensualità. Il libro racconta la passione amorosa attraverso le storie di eroi ed eroine della letteratura, del melodramma e del cinema, ma guardando anche agli amori reali, che si alimentano di mediazioni e triangolazioni.

Enzo Traverso, Rivoluzione 1789-1989, Feltrinelli

Walter Benjamin, probabilmente, aveva appena finito di leggere la Storia della Rivoluzione russa di Trockij quando paragonò le rivoluzioni alla fissione nucleare, un’esplosione capace di liberare e moltiplicare energie contenute nel passato. Le rivoluzioni sono movimenti di violenta rottura. Non riguardano singoli individui, ma sono terremoti che gli esseri umani vivono collettivamente. Dopo il crollo del Muro la narrazione su questo concetto si è appiattita sull’idea che cambiare il mondo corrisponda a una minaccia di totalitarismo. Secondo Enzo Traverso, invece, il concetto di rivoluzione può essere una chiave interpretativa della modernità e, addirittura, del nostro presente, ma a una condizione: la sua indagine deve intrecciarsi con le immagini, le memorie e le speranze, che cambiano costantemente e nel tempo rinnovano la propria forza. Riabilitare le rivoluzioni come momenti cruciali della storia moderna non significa idealizzarle. Piuttosto, significa non rinunciare a comprenderle come momenti drammatici, vissuti intensamente dai loro protagonisti, e perciò capaci di accendere energie, passioni e sentimenti, fino a provocare trasformazioni non solo nella politica ma anche nei canoni estetici. Traverso coglie gli elementi materiali e intellettuali di un’esperienza rivoluzionaria frammentaria e spesso dimenticata. Il passato si disvela attraverso le sue immagini dialettiche: locomotive, corpi, barricate, bandiere, luoghi, canzoni, dipinti, fotografie, manifesti, date. Un lascito ricchissimo, da riordinare e interpretare, di cui ha bisogno la sinistra del XXI secolo per superare vecchi modelli esauriti e costruire un nuovo orizzonte del senso e dell’azione.

Porcaro Salvatore, L’estate è finita. Racconto corale del litorale domizio, Monitor Edizioni

A partire dagli anni Sessanta, la costa a nord di Napoli ha subito una violenta trasformazione. Migliaia di persone hanno investito i propri risparmi per acquistare terreni, costruire case e trascorrere le vacanze a pochi chilometri dai luoghi delle loro residenze stabili. Un processo sviluppato al di fuori di ogni legalità, che ha del tutto cancellato un patrimonio naturale di pregio. All’inizio degli anni Ottanta, con l’arrivo dei terremotati e poi degli sfollati del bradisismo, quegli insediamenti cambiarono radicalmente funzione, diventando un insieme di dormitori periferici dell’area metropolitana. Gli anni Novanta furono segnati dall’insediamento degli immigrati e dai traffici della criminalità organizzata. Oggi molte famiglie colpite dalla crisi si trasferiscono lungo la costa, nelle case che avevano costruito per le vacanze, oppure affittando appartamenti a basso costo. Una scelta che finisce per emarginarli ancora di più.

Questo libro è il frutto di dieci anni di ricerca, durante i quali l’autore ha percorso il litorale domizio in lungo e in largo, incontrando centinaia di persone e stringendo relazioni che l’hanno condotto dagli iniziali obiettivi di conoscenza a quelli, più urgenti, dell’intervento e della riflessione critica.

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