Andrei Zadorine: Adolescenza
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“Non terrorizziamo i bambini!”
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“ Il virus non esiste!”
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“Sono ragazzi e si devono divertire”
Sono alcune delle frasi che si ripetono ormai quotidianamente come un tormentone e che rendono bene l’idea di come spesso gli adulti, gli educatori abbiano difficoltà a gestire la comunicazione con i più giovani e con i bambini e vivano il ragionevole timore che le proprie parole possano causare danni psicologici. Non sempre, infatti, le strategie comunicative messe in atto sono adeguate e risultano efficaci per gestire le situazioni contingenti. In questo articolo non prenderò in considerazione le varie teorie sulla genesi e sulla realtà della pandemia, su quanto il covid sia realmente pericoloso, perché su questo c’è già troppa gente che scrive tutto e il suo contrario. Mi limiterò quindi a offrire spunti di riflessione riguardo al modo col quale gli adulti comunicano con i più piccoli, dal momento che vi sono delle regole di comportamento da rispettare quando ci si trova nelle situazioni sociali; una di queste è la scuola ed è in particolare il luogo in cui emergono tante contraddizioni e differenti teorie, spesso personali e prive di basi di conoscenza specifica, su quale sia il modo migliore per comunicare con i discenti. Comincerò dall’analisi delle frasi iniziali cercando di esaminarle una per una con senso critico.
Frase 1: NON TERRORIZZIAMO I BAMBINI. Questa è una delle più frequenti. Chi utilizza questa espressione parte dal presupposto che i bambini siano soggetti inermi da proteggere e che la semplice comunicazione dell’esistenza di un pericolo possa provocare in loro sentimenti di angoscia o addirittura di terrore.
Ebbene, fortunatamente non è così che funzionano le emozioni per i bambini. Essi non ascoltano tanto il messaggio verbale ma osservano e sono particolarmente attenti a monitorare in modo specifico lo stato d’animo dell’adulto che comunica. Quindi la domanda da porsi è: “sono un adulto terrorizzato o angosciato dalla situazione al punto da trasmettere questo mio stato d’animo al ragazzo/bambino?” Questo è molto importante da capire perché in teoria noi potremmo raccontare un episodio realmente tragico, ma senza un coinvolgimento personale emotivo e negativo questo messaggio non arriverebbe al bambino come qualcosa di angosciante, perché le sue emozioni sono ancora legate a quelle dell’adulto; è su queste che egli è sintonizzato e da queste osservazioni apprende a reagire alle situazioni, anche quelle future. E’ quello che accade, ad esempio, quando una neo-mamma è molto nervosa e osserva che il proprio bambino inizia a piangere; spesso non si rende conto del fatto che ciò accade perché il piccolo percepisce la sua angoscia. I canali percettivi del bimbo sono completamente focalizzati sulla madre e dunque ne percepisce gli stati d’animo in modo chiaro e risponde con la medesima emozione. Lo stesso meccanismo è osservabile negli animali da compagnia, che spesso “anticipano” le mosse del padrone. Come suggeriva il noto etologo Mainardi, essi sono a loro volta i migliori “etologi” dell’uomo; dopo che li hanno studiati abbastanza sono in grado di prevederne tutti i comportamenti con sicurezza. Se, dunque, come adulti abbiamo la tendenza a vivere con angoscia le situazioni difficili, probabilmente ciò accade perché abbiamo avuto dei modelli (i nostri genitori o altre figure di accudimento importanti) a loro volta ansiosi. Quindi il problema non è CIO’ che comunichiamo ai bambini ma COME lo comunichiamo e, soprattutto, con quali emozioni viviamo noi quella situazione. Nello specifico, è importante sapere che non è l’evento in sé a determinare la nostra reazione emotiva ma il significato che quel fatto ha per noi: quell’azione, quella perdita, quel gesto, questa pandemia. Ne consegue che la reazione ad un evento è soggettiva e determinata dal significato che NOI attribuiamo ad esso.
RUOLO DELLA PAURA E’ importante, inoltre, riflettere con i ragazzi sul ruolo evolutivo della paura come elemento indispensabile per la sopravvivenza. Questa emozione ci è utile per preparare il corpo e mettere in atto dei comportamenti di fuga o di attenzione di fronte agli stimoli potenzialmente pericolosi, essa facilita l’apprendimento di risposte che allontanano la persona dal pericolo. In assenza di paura la vita dell’essere umano non sarebbe possibile; è la ragionevole paura che ci consente di raggiungere età ragguardevoli, che ci impedisce di commettere azioni autodistruttive o pericolose per la nostra integrità fisica. La paura, quindi, non va demonizzata e in un certo grado è anzi necessaria affinchè si possa poi chiedere agli adolescenti di mettere in atto comportamenti virtuosi. Non si può pretendere di dare messaggi rassicuranti e lamentarsi poi dei comportamenti poco responsabili. I ragazzi non sono stupidi, sono perfettamente in grado di comprendere le situazioni e in questo particolare momento andrebbero stimolati a crescere un po’ più velocemente.
FRASE 2: Il virus (e il pericolo) non esiste.
Qualunque sia il personale grado di aderenza alla “verità” su questa pandemia, è importante essere consapevoli del fatto che, di fronte a situazioni più o meno pericolose e angoscianti, la nostra mente mette in atto meccanismi di difesa per proteggersi dall’angoscia. I modi per rispondere alle situazioni possono essere svariati, anche questi appresi inizialmente all’interno del proprio nucleo familiare e in seguito modellati dalle esperienze di vita personali, ma poichè abbiamo tutti avuto delle figure di riferimento importanti nella nostra crescita, stiamo pur certi che il primo imprinting emotivo per reagire agli eventi lo abbiamo ricevuto da loro.
Di fronte ad un pericolo come una epidemia possiamo reagire in vari modi:
1- credere alla realtà dell’evento;
in questo caso possiamo:
– mettere in atto azioni di prevenzione quotidiane senza cedere all’angoscia, conservando la fiducia nel futuro e pensando che, adottando alcune misure di prudenza, non avremo problemi. Essere più rassicurati perché in ogni caso sembra che in questo momento i danni provocati dal virus siano molto meno gravi che nei mesi iniziali.
– reagire col panico e l’angoscia: in questo caso non ci si sente al sicuro nonostante le precauzioni e si vive con l’angoscia che prima o poi ci accadrà qualcosa di negativo; l’insicurezza può causare ansia e crisi di panico.
– si reagisce con la negazione del problema “il virus non esiste, è tutta una farsa, inventata per decimare la popolazione” o teorie simili. Questa seconda ipotesi potrebbe sembrare più inquietante della prima ma forse, ipotizzare nemici umani, può essere (per alcuni) più rassicurante dell’incertezza causata da un nemico “invisibile” e non controllabile. Il fatto poi che una pandemia divenga una fonte di profitto per molti soggetti economici può indurre a pensare che la stessa sia stata da questi causata intenzionalmente. Ad esempio molti additano le case farmaceutiche come possibili responsabili e come organismi che indubbiamente trarranno benefici da questa situazione, attraverso la produzione di farmaci e vaccini, ma la situazione potrebbe essere analizzata anche da punti di vista alternativi:
- forse durante le passate pandemie (vedi spagnola) la popolazione sarebbe stata felice se fossero esistite case farmaceutiche con la forza economica e le capacità scientifiche attuali;
- pochi sanno che alcuni dei soggetti che hanno ottenuto guadagni immensi dalla pandemia, senza che nessuno li abbia considerati o indicati tra gli “untori” sono stati i gestori delle piattaforme digitali che hanno permesso i collegamenti a distanza durante i vari lockdown nel mondo; mi riferisco a google meet, goto, zoom e altre simili, che hanno moltiplicato i loro guadagni arrivando a cifre miliardarie, come testimoniato anche nel documentario “The social dilemma” (che consiglio di vedere a tutti, ma soprattutto a chi ha figli adolescenti e a chiunque lavori con i ragazzi).
FRASE 3: sono ragazzi e si devono divertire.
Questa è a mio avviso una delle espressioni peggiori. In primo luogo c’è la tendenza a svalutare le capacità dei giovanissimi, a parlare di loro come se fossero dei soggetti dalle capacità intellettive “limitate”, non in grado di comprendere le situazioni o di assumere comportamenti responsabili verso sé stessi e gli altri. E’ questa una considerazione che parte dal pre-giudizio che essi non siano in grado di agire ponendosi dei limiti. L’assunto di partenza che debbano divertirsi sembra invece una prescrizione imprescindibile non rinviabile e giustificativa di qualunque comportamento; soprattutto che non sia possibile farlo usando un minimo di buon senso. Vi è forse la credenza, da parte degli adulti (genitori e purtroppo anche educatori) che poi i comportamenti responsabili arriveranno ad un certo punto, a seguito della crescita. Purtroppo si tratta di una convinzione errata e la maggiore età rappresenta solo un aspetto della maturazione. La verità è che il senso di responsabilità va allenato fin dai primi anni di vita, la capacità di prevedere le conseguenze delle azioni stimolata ad ogni età; in caso contrario si formeranno giovani incoscienti e irresponsabili che tali rimarranno anche da adulti, quando saranno incapaci di assumersi le responsabilità del lavoro e della famiglia. Lavorando con preadolescenti nella scuola, gli insegnanti e gli educatori osservano talvolta ragazzini di 10-11 anni che si mostrano maturi e responsabili oppure altri di 14-15 assolutamente immaturi. Questo suggerisce che il grado di maturazione dipenda, oltre che da differenze individuali, prevalentemente dalle modalità educative piuttosto che dall’età anagrafica. Si osserva anche, nei ragazzi più maturi (indipendentemente dall’età) una minore tendenza all’ansia e ad essere coinvolti in comportamenti pericolosi, come partecipare ad azioni contro i coetanei, avvicinarsi precocemente al fumo o assumere alcolici.
In conclusione, è da considerare quindi particolarmente importante, per gli adulti che hanno a che fare con i giovanissimi, l’approfondimento delle tecniche di comunicazione e gli effetti che essa può avere, soprattutto in momenti e in situazioni molto delicate come quella che stiamo vivendo in questo particolare periodo storico.
Comunicare con la consapevolezza degli effetti dei messaggi (che vengono inviati dagli adulti e ricevuti dai più giovani) è così importante che può rappresentare una differenza fondamentale nella formazione dei ragazzi e influenzare positivamente le emozioni e il loro modo di rispondere agli eventi per tutta la vita.
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