Il termine resilienza per come ha iniziato ad essere usato in psicologia da Heinz Werner (Psicologia comparata dello sviluppo) e Stanley Smith Stevens (Oltre il complesso d’inferiorità: Un’epistemologia per le scienze sociali) è in realtà una metafora di un fenomeno misurabile in fisica, ovvero dell’attitudine di un corpo a resistere senza rotture in seguito a sollecitazioni esterne brusche o durature di tipo meccanico.
Un significato equivalente è riscontrabile anche in altre discipline. In biologia la resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno, mentre in ecologia tanto più un ecosistema è dotato di variabilità dei fattori ambientali, tanto più le specie che vi appartengono sono dotate di un’alta resilienza. Nel linguaggio informatico la resilienza di un sistema operativo è rappresentata dalla capacità di adattamento alle condizioni d’uso e di resistenza all’usura.
Il termine, traslato dalla fisica, dalla biologia e dall’informatica viene utilizzato dalla psicologia e dalla sociologia per indicare la capacità di un individuo di resistere agli urti della vita senza spezzarsi o incrinarsi, mantenendo e potenziando inoltre le proprie risorse sul piano personale e sociale.
La resilienza può quindi essere considerata come la capacità di affrontare eventi stressanti, superarli e continuare a svilupparsi aumentando le proprie risorse con una conseguente riorganizzazione positiva della vita. Diverse discipline scientifiche indagano questo fenomeno, ognuna da un punto di vista differente. In particolare le neuroscienze pongono il “focus” sulla funzione plastica del cervello capace di sostenere il soggetto traumatizzato grazie alla riattivazione funzionale di circuiti neuronali del benessere. Potremmo, molto sinteticamente, considerare gli individui resilienti come persone che hanno trovato in se stessi, nelle relazioni umane, nei contesti di vita, gli elementi e la forza per superare le avversità.
In un’ottica sistemica la resilienza viene considerata come la capacità di un sistema di far fronte ai cambiamenti, imprevisti e improvvisi, provocati dall’esterno e di superare queste crisi attraverso un cambiamento qualitativo in grado di mantenere la coesione strutturale e funzionale del gruppo. La resilienza viene vista come un processo dinamico che varia in differenti contesti. L’attitudine proattiva è propria dei resilienti e consente di considerare la realtà con le sue potenzialità e i suoi ostacoli. Il resiliente mette in conto che non tutto potrà andare come desidera, ma metterà comunque in atto delle strategie per superare nel modo migliore gli eventi difficili.
L’individuo è considerato come un soggetto attivo in grado, attraverso strategie emotive, cognitive e comportamentali di influenzare gli eventi di crisi e/o di stress. Un evento è percepito come “stressante” solo nel momento in cui l’individuo percepisce una discrepanza tra le richieste della situazione che si trova a vivere e le risorse che in quel momento ha a disposizione per farvi fronte.
La Resilienza Emotiva rappresenta, dunque, una capacità di saper reagire, fronteggiare qualcosa di negativo senza “perdersi d’animo”, ma anzi riorganizzando positivamente la propria vita.
Resilienza Emotiva, dal latino “Resiline”, Re-Salire, ossia saltare indietro, rimbalzare; e “Emotus” (Emovere), cioè colui che viene scosso, che si muove. Dunque vuole intendersi quella risposta ad uno scossone in grado di ripristinare e riorganizzare il regolare “flusso vitale” (Platone) di una persona.
Dunque la Resilienza Emotiva implica necessariamente una dinamica positiva; permette una ricostruzione di un percorso di vita nonostante lo stato di “crisi” vissuto o latente. Le persone generalmente sono in grado da sole di adattarsi bene a situazioni oggettivamente drammatiche, ad eventi traumatici. Tuttavia in tal senso assumono una innegabile importanza le “risorse” di un individuo rispetto alle proprie capacità si “autoriparazione”.
La Resilienza Emotiva non rappresenta un tratto stabile e immodificabile della personalità, ma viceversa implica una serie di comportamenti, pensieri e atteggiamenti che possono essere appresi, migliorati e sviluppati in ciascun individuo. Essa è una funzione del nostro stato mentale, che si modifica nel tempo in rapporto all’esperienza, al vissuto quotidiano, e soprattutto al cambiamento dei meccanismi mentali (Mindset) che la caratterizzano.
Essa basa le sue forme essenziali sull’Impegno, la Capacità di autocontrollo, e l’Accettazione delle sfide (Volontà – Will); le quali rappresentando caratteristiche consapevoli di ciascun individuo, possono pertanto essere “coltivate e incoraggiate”. Essendo una condizione propria dell’agire individuale, presuppone comportamenti, azioni e pensieri che possono essere appresi e interiorizzati da chiunque ne abbia la “Volontà”.
La Resilienza Emotiva come una risorsa in grado di affrontare le difficoltà o gli stress (crisi) della vita di ognuno, senza farsi sopraffare dagli eventi stessi; ed essere emotivamente resiliente significa principalmente essere disposti al cambiamento (quando necessario).
Ricordiamo che alla base di uno stato di crisi c’è sempre uno stato di paura incontrollabile.
Daniel Goleman (Intelligenza emotiva) sostiene: Se in una situazione catastrofica un individuo pensa di poter fare qualcosa, di poter esercitare un certo controllo, non importa se limitato, sta psicologicamente meglio di chi si sente del tutto impotente. È l’impotenza che ci fa sentire soggettivamente sopraffatti da un particolare evento.
Le neuroscienze hanno ampiamente dimostrato, come ricorda lo stesso Goleman, che quando la “paura è acquisita, … i meccanismi dell’apprendimento e della memoria si sono inceppati; anche in questo caso, è l’amigdala, fra tutte le regioni cerebrali coinvolte, ad avere un ruolo fondamentale. Per vincere la paura acquisita, però, è fondamentale la neocorteccia”.
Infatti, per condizionamento della paura, si intende proprio quel processo grazie al quale una cosa innocua assolutamente, diviene temuta quando è associata a qualcosa di spaventoso, esclusivamente attraverso un ricordo sedimentato nella mente dell’individuo.
Nel cervello, responsabile dei cosiddetti “sequestri neurali” è il circuito che connette il talamo, l’amigdala e il lobo prefrontale, il quale rappresenta la struttura centrale dedita all’apprendimento, alla memorizzazione che mette in atto le risposte alla paura.
Dunque, se accettiamo che la paura con il tempo svanisce attraverso un processo che viene definito di “ri-apprendimento naturale”, è anche vero che non sempre ciò avviene o sia possibile. Se le alterazioni cerebrali risultano talmente forti che l’amigdala può scatenare “un sequestro ogni qualvolta si presenti qualcosa di veramente simile al trauma originale, rafforzando così la via neurale della paura” (Goleman), allora come osserva Dennis Charney (Resilienza e salute mentale. Le sfide nel corso della vita): “L’estinzione della paura sembra implicare un processo di apprendimento attivo”. Ovvero, si è visto che attraverso giuste esperienze “gli intensi ricordi emozionali, e i pensieri e le reazioni che essi scatenano, possono modificarsi”.
Numerosi studi hanno dimostrato che è possibile rieducare i circuiti neurali che elaborano le emozioni. Pertanto alla luce di quanto detto fino a questo punto, è possibile considerare la Resilienza Emotiva come un vero e proprio frutto di un processo di Apprendimento attivo, e dunque esogeno, in quanto innescato da dinamiche esterne promosse attraverso una programmazione indotta.
Da ciò si evince che le dinamiche indotte da un momento traumatico, di stress o crisi, non sono sempre irreversibili e quindi gli individui sono in grado di innescare un processo pro-attivo di Resilienza Emotiva anche in seguito al più “tremendo imprinting emotivo”, la via da percorrere è il “riapprendimento”.
Il primo passo da compiere consiste nell’acquisire una sorta di auto-controllo sugli eventi della propria vita attraverso una vera e propria rimozione evocativa della percezione di impotenza e di insicurezza. La sensazione che il soggetto ha di non riuscire a controllare quello che accade (contro la propria volontà) alle proprie emozioni, provoca un vero e proprio sequestro emotivo capace di inibire qualsiasi forma di risposta attenzionale adeguata e duratura.
Per ripristinare nei soggetti scarsamente dotati o privi di Resilienza Emotiva quella convinzione che non vede il “trauma/stress/crisi” come una minaccia, e di conseguenza innescare un percorso in grado di riacquistare sicurezza tale da consentire ai circuiti neurali che elaborano le emozioni, di reagire ai fattori di crisi in modo nuovo e più realistico, bisogna percorrere una strada che ci porti ad apprendere nuove risposte ed azioni in grado di sopire se non anche ribaltare i segnali di allarme emozionale prodotti dal sistema limbico. In breve: le reazioni emotive apprese possono essere riplasmate attraverso un percorso dedicato di apprendimento.
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