In un mondo messo alla prova dalla crisi economica il settore dell’impiego e i contratti di lavoro ne hanno fatto le spese. In un contesto del genere si è sviluppata la “Gig Economy”. Si tratta di un particolare sistema che riesce a fare a meno dei classici contratti a tempo indeterminato o alle prestazioni continuative.
Gig vuol dire lavoretto. Ed è proprio di questo che stiamo parlando. Un panorama dove nessuno ha il posto fisso, ma tutti si occupano di fare “lavoretti”. I lavori sono gestiti online ed attraverso specifiche piattaforme. Il posto fisso è sostituito dai freelancer. Si tratta di un particolare sistema che riesce a fare a meno dei classici contratti a tempo indeterminato o alle prestazioni continuative. Nella “Gig Economy” si lavora “on demand”. Ovvero solo quando c’è la necessità delle nostre competenze e delle nostre abilità. Alcuni corrieri o i driver di Uber, sono chiari esempi di figure professionali all’interno della “Gig Economy”. Se vogliamo renderla ancora più semplice, è il trionfo dei “Lavoretti”. Fino a poco tempo fa una situazione lavorativa del genere non sarebbe stata considerata una buona opzione economica, e invece oggi vista la crisi del lavoro, al momento molte persone stanno sfruttando le opportunità occupazionali, anche se molto saltuarie, offerte da siti, applicazioni e piattaforme web. In un’economia gigantesca, i posti di lavoro temporanei e flessibili sono all’ordine del giorno e le aziende tendono ad assumere “lavoratori” indipendenti e liberi professionisti anziché impiegati a tempo pieno. Un’economia dei “Lavoretti” o diremmo ancora in Italia “della precarietà volontaria” mina l’economia tradizionale dei lavoratori a tempo pieno che raramente cambiano posizione e si concentrano invece sulla carriera di una vita.
Le principali attività della “Gig Economy” si basano sull’impiego dei “lavori flessibili, temporanei o indipendenti”, che spesso implicano la connessione con clienti potenziali attraverso l’uso di una piattaforma online dedicata. L’economia dei “Lavoretti” se da una parte può apportare benefici a lavoratori, aziende e consumatori, dall’altra rendendo il lavoro più adattabile alle esigenze del momento e alla domanda di stili di vita flessibili. Allo stesso tempo, questo tipo di economia potrebbe comportare degli evidenti svantaggi a causa dell’erosione delle relazioni economiche tradizionali tra lavoratori, aziende e clienti. In un’economia dei “Gig”, un gran numero di persone lavora in condizioni di part-time o a tempo determinato. Il risultato immediatamente ed innegabilmente visibile è la possibilità di usufruire di servizi più economici ed efficienti. Una delle discriminanti più evidente per tutti coloro che si “ostineranno” volontariamente o impossibilitati culturalmente e strutturalmente ad utilizzare servizi tecnologici come Internet, tenderanno inevitabilmente ad essere lasciati indietro dai benefici che la “Gig Economy” può apportare.
La differenza più evidente nel processo di affermazione delle “Economie dei Lavoretti” è ben visibile dalla dicotomia “Città-Campagne” o se si vuole “Centro-Periferie”, dove le Città e i Centri tendono ad avere i servizi più “sviluppati” e dove appunto le “Gig Economy” sono le più radicate. C’è una vasta gamma di “Posizioni lavorative” che rientrano nella categoria di “Lavoretto”. Ad esempio, i professori a contratto o part-time, i quali sono dipendenti “temporanei” anziché professori di ruolo. In questo modo le scuole e le università possono ridurre i costi e aggiungere in questo modo contenuti didattici essenziali alle reali esigenze di flessibilità delle “accademie universitarie”, altrimenti impossibile, minando irreparabilmente i possibili sviluppi delle stesse istituzioni scolastiche e di ricerca. Circa gli sviluppi futuri della “Gig Economy”, si può partire dalle stime attualmente in nostro possesso; esse mostrano che almeno un terzo della popolazione attiva è già in qualche modo impegnata nei settori più significativi della “Economia dei Lavoretti”. Gli esperti prevedono che questa tipologia di impiego aumenterà in modo esponenziale sia in numero che in quantità economica prodotta (PIL). Nel moderno mondo digitale, sta diventando sempre più in uso la consuetudine per le persone di lavorare da remoto o da casa. Ciò facilita il lavoro a contratto indipendente poiché molti di quei lavori non richiedono che il libero professionista entri in ufficio per lavorare. I datori di lavoro, da parte loro, avendo una vasta gamma di possibilità-candidati tra cui scegliere, potranno decidere in base alle loro reali necessità e non solo in base alla vicinanza geografica o logistica dell’operatore.
Le stesse ragioni che sono alla base delle “Economiche digitali” contribuiscono inevitabilmente allo sviluppo della “Gig Economy”, in quanto la maggior parte delle volte, i datori di lavoro non possono permettersi di assumere dipendenti a tempo pieno per fare tutto il lavoro di cui hanno bisogno, quindi saranno sempre più spinti ad assumere dipendenti part-time o temporanei, per avere la possibilità di usare orari più flessibili e impegnare il collaboratore su progetti di sviluppo aziendale specifici che altrimenti non sarebbe possibile realizzare applicando le modalità tradizionali di impiego del “lavoro”. Dall’altro lato il lavoratore spesso scopre di dover assumere più posizioni lavorative, applicando inevitabilmente uno stile di vita molto più flessibile e dinamico; naturalmente purché ciò sia il frutto di scelte e non di imposizioni dettare dalle necessità contingenti. In questo modo le persone tendono anche a cambiare “lavoro-carriera” molte volte nel corso della loro vita, quindi l’economia dei “Lavoretti” può essere vista come un riflesso di ciò che accade su larga scala a livello globale. Nonostante i suoi benefici, ci sono alcuni aspetti evidentemente critici nella ”Economia dei Lavoretti”. Sebbene non tutti i datori di lavoro tendano ad assumere dipendenti a contratto, la tendenza ad espandersi dell’economia dei “Gig” può rendere più difficile per i dipendenti a tempo pieno sviluppare pienamente le loro carriere lavorative poiché i dipendenti temporanei sono spesso più economici da assumere e più flessibili nella loro disponibilità, si crea inevitabilmente una condizione di “Conflittualità permanente”. D’altra parte i lavoratori che preferiscono un percorso di carriera tradizionale e la stabilità e la sicurezza che ne derivano, si vedranno discriminati se non addirittura spinti fuori dagli stessi processi produttivi nel prossimo futuro. Con le inevitabili conseguenze in termini di stabilità sociale e di sviluppo economico equilibrato.
Per alcuni lavoratori, la flessibilità dei “Lavoretti” può effettivamente compromettere l’equilibrio emotivo tra lavoro e vita privata, determinando conseguenze negative anche sugli equilibri spico-fisici legati al sonno e alle comuni attività della vita quotidiana. Purtroppo la flessibilità che sta alla base della Economia dei Lavoretti” spesso significa che i lavoratori devono rendersi disponibili ogni volta che si presentano le “necessità lavorative”, indipendentemente dalle loro altre esigenze, e devono poi sempre essere a caccia del prossimo “Gig”, inevitabilmente precario e insicuro. In effetti, i lavoratori in un’economia di questo tipo sono più simili agli imprenditori che ai lavoratori tradizionali. Sebbene ciò possa significare una maggiore libertà di scelta per il singolo lavoratore, significa anche che la sicurezza di un lavoro stabile con retribuzioni regolari, benefici e una routine quotidiana che ha caratterizzato il lavoro per generazioni, sta rapidamente diventando un ricordo del passato. Significa anche che i lavoratori si assumeranno inevitabilmente una quota sempre maggiore del rischio di mercato, legata agli alti e ai bassi dei flussi economici, delle tendenze e delle preferenze dei consumatori; tutti rischi che una volta erano tradizionalmente a carico dei soli imprenditori “capitalisti” i quali erano gli unici responsabili del processo produttivo e dunque unici a dover preoccuparsi del corrispettivo da corrispondere a coloro che percepivano salari e stipendi. Naturalmente lo stile di vita e l’esposizione al rischio che derivano dall’essere un imprenditore o un libero professionista, possono semplicemente non essere adatti a tutti.
Infine, a causa della “natura fluida” delle transazioni e delle relazioni economiche che sono alla base della “Gig Economy”, le relazioni a lungo termine tra lavoratori, datori di lavoro, clienti e venditori possono tendere inevitabilmente ad erodersi, di certo la loro caratteristica principe non è la stabilità come abbiamo ampiamente potuto evidenziare. Questo naturalmente tende ad eliminare tutti quei benefici che derivano dalla costruzione di fiducia a lungo termine, pratica abituale instaurata dalla familiarità con clienti e datori di lavoro. Uno degli effetti più negativi che si possono vedere nello sviluppo di questo tipo di “economy” potrebbe essere quello di non incoraggiare se non addirittura scoraggiare gli investimenti in attività specifiche che richiedono forti relazioni lavorative anche se non sviluppano immediate risposte economiche in tempi accettabili. Immaginiamo cosa potrebbe succedere nel mondo della ricerca e sviluppo, in tanti casi si tratta di attività che non sarebbero redditizie nel breve periodo, poiché nessuna delle parti coinvolte avrebbe un reale incentivo a investire in modo significativo in una relazione che dura solo fino al prossimo “Lavoretto”. Uno dei problemi della “Gig Economy” ancora irrisolto è rappresentato dalla tutele nei confronti dei lavoratori. Non essendoci dei veri e propri contratti difficilmente le persone ricevono lo status di dipendenti con le conseguenti agevolazioni, pensionistiche e sanitarie, del caso. Vedremo come questo tipo di economia dei “Lavoretti” influenzerà la società nei prossimi anni.
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